Pensione, com'è cambiata fino a oggi
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Nel sistema italiano, il meccanismo automatico dell'adeguamento dell'età di pensionamento alla speranza di vita porta a neutralizzare gli effetti della longevità sui conti previdenziali
Pubblicato il: 25/10/2017 11:01 da www.adnkronos.com
Nel sistema italiano, il meccanismo automatico dell'adeguamento dell'età di pensionamento alla speranza di vita porta a neutralizzare gli effetti della longevità sui conti previdenziali. Ovvero: se si vive più a lungo, si andrà in pensione più tardi. E l'innalzamento dell'età a 67 anni a partire dal 2019 è oggi il tema centrale del nodo pensioni.
C'è infatti una norma che sovraintende all''aggiustamento' triennale dell'età pensionabile che nel 2016, come confermato ieri dall'Istat, ha registrato un aumento della speranza di vita rispetto al 2013, aprendo di fatto a un nuovo 'scatto' nell'accesso alla pensione che, dal 2019, potrebbe così essere possibile solo a 67 anni compiuti.
Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico (ad esempio, Inps e Inpdap) è strutturato secondo il criterio della ripartizione: i contributi che lavoratori e aziende versano agli enti di previdenza sono utilizzati per pagare le pensioni di chi ha lasciato l'attività.
LA VITA MEDIA - In un sistema così organizzato, si ricorda in un documento pubblicato sul sito della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (LEGGI), il flusso delle entrate rappresentato dai contributi deve essere in equilibrio con l'ammontare delle uscite, cioè le pensioni.
Il progressivo aumento della vita media ha fatto sì che si debbano pagare le pensioni per un tempo più lungo. Per ottenere un progressivo controllo della spesa pubblica per le pensioni, come si è evoluto il nostro sistema previdenziale negli ultimi 30 anni?
ANNI '70-80 - "L'Italia è stata interessata da un forte rallentamento dell'economia, determinato principalmente dalla crisi petrolifera" del 1973-1976, ricostruisce il documento della Commissione sui fondi. "Lo Stato ha dovuto affrontare una maggiore spesa a sostegno di coloro che non riuscivano a trovare un'occupazione e delle imprese, anch'esse in crisi".
Negli anni ’80 è così maturata la consapevolezza riguardo alla necessità di provvedere al riequilibrio dei conti pubblici attraverso il ridimensionamento della spesa corrente. Poi, a partire dai '90, sono state avviate riforme strutturali che hanno toccato anche le pensioni.
ANNI '90 - "Fino al dicembre 1992 il lavoratore iscritto all'Inps riceveva una pensione il cui importo era collegato alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. Con una rivalutazione media del 2% per ogni anno di contribuzione, per 40 anni di versamenti, veniva erogata una pensione che corrispondeva a circa l’80% della retribuzione percepita nell’ultimo periodo di attività" ricorda la Covip. Inoltre, la pensione veniva rivalutata negli anni successivi tenendo conto di due elementi: aumento dei prezzi e innalzamento dei salari.
RIFORMA AMATO - Con la riforma del 1992 (decreto legislativo n. 503/1992), si innalza l'età per la pensione e si estende gradualmente, fino all'intera vita lavorativa, il periodo di contribuzione valido per il calcolo della pensione; le retribuzioni prese a riferimento per determinare l'importo vengono rivalutate all'1%, percentuale nettamente inferiore a quella applicata prima della riforma; la rivalutazione automatica delle pensioni viene limitata alla dinamica dei prezzi (e non anche a quella dei salari reali).
Da qui la necessità di introdurre una disciplina organica della previdenza complementare con l'istituzione dei Fondi pensione ad adesione collettiva negoziali e aperti (decreto legislativo n. 124/1993).
RIFORMA DINI - Con la riforma del 1995 (legge 335/1995) dal sistema retributivo si è passati al contributivo. La differenza tra i due è sostanziale:
- nel retributivo la pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del lavoratore; dipende da anzianità contributiva e retribuzioni, in particolare quelle percepite nell'ultimo periodo, che tendenzialmente sono le più favorevoli;
- nel contributivo, invece, l'importo della pensione dipende dai contributi versati dal lavoratore nell’arco della vita lavorativa.
ANNI 2000 - Con il decreto legislativo n. 47/2000 viene migliorato il trattamento fiscale per chi aderisce a un Fondo pensione e sono previste nuove opportunità per chi desidera aderire in forma individuale alla previdenza complementare, iscrivendosi a un Fondo pensione aperto o a un Piano individuale pensionistico (il cosiddetto PIP).
RIFORMA MARONI - Con la riforma del 2004 (legge delega n. 243/2004) vengono stabiliti incentivi per chi rinvia la pensione di anzianità.
NEL 2005 - Con il decreto legislativo n. 252/2005 viene data attuazione alla predetta legge delega, sostituendo interamente il decreto legislativo n. 124/1993.
RIFORMA PRODI - Con la riforma del 2007 (legge n. 247/2007) si introducono le cosiddette 'quote' per l’accesso alla pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.
NEL 2009 - Con la legge n. 102/2009 arrivano altre innovazioni: dal 1° gennaio 2010 l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta progressivamente fino ai 65 anni; all'1 gennaio 2015, inoltre, l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento deve essere collegato all'incremento della speranza di vita accertato dall’Istat e validato dall’Eurostat.
RIFORMA FORNERO - Con la manovra 'Salva Italia' (legge n. 214/2011) varata dal governo Monti, il quadro previdenziale si rinnova ancora. A partire dal 2012 cambiano:
- il sistema di calcolo delle pensioni; il metodo contributivo 'pro rata' si estende a tutti i lavoratori, anche a quelli che avendo maturato a dicembre ’95 almeno 18 anni di contributi potevano fruire del più favorevole sistema retributivo; il 'pro rata' si applica sui versamenti successivi al 31 dicembre 2011;
- i requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia, ferma restando l’anzianità contributiva minima di 20 anni;
- per le lavoratrici dipendenti del settore privato, l’età sale a 62 anni e viene ulteriormente elevata a 63 e 6 mesi nel 2014, a 65 nel 2016 e a 66 a partire dal 2018;
- per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici di rette) l’aumento è di tre anni e 6 mesi (si passa quindi da 60 a 63 anni e mezzo). La soglia sale ulteriormente a 64 e 6 mesi nel 2014, a 65 e 6 mesi nel 2016 fino a raggiungere i 66 anni da gennaio 2018;
• i lavoratori del settore privato devono aver compiuto 66 anni.
2019 - Infine, dal 1° gennaio 2019, il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia si adeguerà in funzione dell'incremento della speranza di vita con un adeguamento che avrà periodicità biennale.