"L'islamismo è un pericolo enorme". Parla il presidente degli imam di Francia
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“E’ un po’ semplicistico dire che la radicalizzazione dipende dalla povertà e dall’esclusione sociale”, dice al Foglio Hassen Chalghoumi
L'imam Hassen Chalghoumi (al centro) in raccoglimento dopo l'attentato alla redazione di Charlie Hebdo (LaPresse)
di Matteo Matzuzzi | 01 Aprile 2016 ore 06:06
Roma. “L’ascesa dell’islam politico è un enorme pericolo, qualunque forma esso assuma. Il suo obiettivo è di strumentalizzare la religione per fini politici, e noi dobbiamo condannare ciò in modo fermo”, dice al Foglio Hassen Chalghoumi, presidente della Conferenza degli imam di Francia e imam a Drancy, a pochi chilometri da Saint-Denis, l’enorme banlieue da cui partirono gli stragisti del Bataclan, lo scorso 13 novembre. Chalghoumi vive sotto scorta, “sei poliziotti che vegliano su di me e la mia famiglia ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette” da quando condannò l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, nel gennaio del 2015: “Quel giorno, lo Stato islamico ha emesso una fatwa contro la mia persona. Non nego che la situazione sia difficile, ma non smetterò mai di cercare il dialogo con i fedeli di altre religioni. Se mi fermassi, i fondamentalisti vincerebbero”. L’esecuzione dei vignettisti del periodico satirico “è stata una tragedia tremenda. Qualunque cosa accada, bisogna rispondere alla penna con la penna, mai con la violenza. Quell’attentato è stato codardo. Per fortuna – dice – sempre più persone stanno capendo l’importanza del dialogo, e ciò mi aiuta ad andare avanti. Nella mia battaglia per la tolleranza, momenti come la recente cena per la pace a Marsiglia, la consegna del premio Louis Blum a Grenoble per la lotta contro l’antisemitismo e (il mese prossimo) la medaglia del valore (sempre per l’impegno antisemita), mi danno la forza per continuare”. Pochi giorni fa, dopo gli attentati che hanno insanguinato Bruxelles, colpita all’aeroporto e nelle stazioni della metropolitana, in qualità di presidente della Conferenza degli imam francesi ha chiesto che “chiunque si riveli estremista, razzista e antisemita sia escluso dai luoghi di culto” del paese.
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Con la postilla finale che “tutte le correnti dell’islam condannino con forza questi attentati efferati”, si legge nel comunicato ufficiale emesso dalla Conferenza degli imam di Francia. Dell’amicizia con il popolo ebraico, Hassen Chalghoumi ne fa un vanto: è stato più volte in Israele, si è raccolto in preghiera allo Yad Vashem, così come sulle tombe delle vittime di Mohamed Merah, che nel 2012 uccise – tra gli altri – quattro ebrei in una scuola di Tolosa. Non ha dubbi sul fatto che i governi europei abbiano sottovalutato il fondamentalismo che cresceva nelle loro città, magari all’interno di scantinati adibiti a moschee o centri di preghiera: “Già nel 1996, quando lavoravo per la rete metropolitana parigina (Ratp), mi ero accorto – preoccupandomi – della radicalizzazione di certe zone cittadine”, dice al Foglio. “Ho scritto diversi libri in cui ho denunciato l’ascesa dell’estremismo nei nostri sobborghi, il pericolo delle interferenze straniere. Io sono ben contento di vivere in un paese secolarizzato, perché so che questo sistema garantisce la mia libertà di coscienza e di religione. Il problema è che a causa dell’interpretazione che è stata data della laïcité, vista cioè come la totale assenza di religione, abbiamo lasciato che paesi stranieri si siano fatti carico dell’educazione nelle nostre moschee, nelle nostre carceri e nei nostri quartieri”. Uno dei grandi problemi è il modo in cui vengono preparati gli imam, osserva: “Penso che qui non ci sia un’adeguata preparazione. Se vogliamo che le nostre guide religiose comprendano pienamente e rispettino il luogo dove vivono e insegnino agli altri ad amarlo, dobbiamo prepararli in Europa”, e non importarli da qualche madrassa orientale.
Sulle cause della deriva estremista di tanti musulmani, Chalghoumi non sposa le ricette à la mode che portano tutte a presunte cause economiche: “Penso sia troppo semplicistico dire che la radicalizzazione è solo una conseguenza della povertà e dell’esclusione sociale. Certo, anche questi fattori incidono, perché determinano una generale mancanza di speranza e fiducia nel futuro. E una persona senza più speranza è facilmente manipolabile. Ritengo però che la radicalizzazione derivi prima di tutto da una mancanza di identità ben determinata, e in Francia questo è un elemento ben evidente. L’ambiguità di molti maghrebini e algerini, che ancora pensano al passato coloniale e sono incapaci di sentirsi a pieno titolo come appartenenti al popolo francese o algerino, gioca un ruolo chiave”. Ci sono – osserva, “dei vuoti da riempire e dobbiamo cercare di coinvolgere questi giovani in qualcosa, o almeno di dar loro la possibilità di essere coinvolti”.
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