Una madre contro l’islamizzazione

Sta alle donne reagire contro “il diavolo”, dice la franco-algerina Remadna

Nadia Remadna, fondatrice della fondazione Brigade des mères (Bdm)

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di Mauro Zanon | 30 Marzo 2016 ore 10:12 Foglio

Parigi. “I politici francesi hanno lasciato crescere la religione islamica nei nostri quartieri per dominarci, per farci credere che ci amano, che si interessano a noi, ma portando avanti questa politica hanno creato l’odio nel cuore dei nostri figli. La religione islamica ha sostituito le istituzioni, e i politici, negoziando con i fanatici per logiche elettorali, hanno dato loro le chiavi del potere. Ma hanno fatto male i calcoli e ora sono le madri che raccolgono i risultati dei loro comportamenti scellerati”. Il settimanale francese Point l’ha soprannominata “l’amazzone dei territori perduti”, ma lei, Nadia Remadna, preferisce definirsi come una “madre che combatte”. Nata a Créteil, a sud di Parigi, nel 1960 da genitori algerini, Remadna ha fondato la Brigade des mères (Bdm), un’associazione di madri che non vogliono vedere il proprio figlio inghiottito dalla delinquenza o dalla radicalizzazione islamica. “Oggi noi madri non abbiamo più scelta dinanzi all’ascesa dell’islam radicale. Per questo ho creato questa associazione, per dire a tutte le madri: ‘alziamoci in piedi’, ‘salviamo i nostri figli’, perché se la République sta male, stanno male anche i nostri figli. Non possiamo peggiorare la situazione attuale. Amo la Francia per la sua libertà, ma dobbiamo mobilitarci tutti per restare liberi”, dice al Foglio Remadna.

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Nei grandi agglomerati urbani che attorniano Parigi, lì dove l’assistenzialismo statale ha fallito, sono le associazioni di liberi cittadini a sfornare soluzioni concrete alla deriva dei giovani. Come la Brigade des mères, appunto, che nel comune di Sevran è riuscita grazie alla forza della sua presidente e fondatrice a salvare numerosi adolescenti dal tragico bivio tra radicalizzazione e traffico di droga. “E’ come se lo stato francese fosse una ong, che si ricorda di noi e ci viene ad aiutare solo quando c’è la crisi”, dice Remadna. Che però non sopporta il discorso vittimista portato avanti dalla maggioranza dei suoi concittadini e da quei politici che nelle banlieue hanno creato odio tra i diversi quartieri, scendendo a patti con il diavolo, l’islam radicale, per meri interessi elettorali.

Così come non sopporta il “fatalismo” di quelle madri di periferia che si rassegnano a essere semplicemente delle brave mogli e ad accontentarsi di quello che hanno: “La vita è una battaglia quotidiana ed essere madri nelle periferie è una sfida permanente. Dobbiamo portare avanti un discorso di emancipazione femminile e uscire da questa autosegregazione. La République, siamo anche noi”, dice orgogliosa Remadna. Ai giovani con i quali ha a che fare quotidianamente attraverso la sua associazione, Remadna fa lo stesso discorso: “Devono darsi una mossa. In alcune situazioni forse ci sono delle discriminazioni, ma bisogna smetterla di piangere. La vittimizzazione non mi piace e soprattutto non serve a nulla”.

 La sua esperienza nelle banlieue francesi, dove vive da quando ha 25 anni, doveva essere raccontata, e così, in collaborazione con un giornalista di Marianne, Daniel Bernard, Remadna ha deciso di scrivere “Comment j’ai sauvé mes enfants” (Calmann-Lévy), una testimonianza vibrante su come è riuscita a crescere e “salvare” i suoi quattro figli assieme a molti loro coetanei. “Prima temevamo che i nostri figli potessero cadere nella delinquenza, oggi abbiamo paura che possano diventare dei terroristi”, dice Remadna, che sognava di essere avvocato, ma ha lavorato un’intera vita nel settore sociale, e ora spera di concretizzare il suo progetto di un’“école des mères de la République”, una scuola parallela per lottare contro gli abbandoni scolastici.

Alle ultime elezioni regionali ha votato scheda bianca, dopo essere stata candidata alle comunali del 2014 nella lista di Clémentine Autain (Front de Gauche), femminista molto in voga nei salotti televisivi di cui però non ha affatto un buon ricordo. “Flirtava con il diavolo, con gli islamisti, le interessava soltanto divenire sindaco di Sevran. Se fosse stata una vera femminista, avrebbe sostenuto un movimento di donne di periferia come il nostro che lotta contro l’integralismo e vuole proteggere i giovani. Invece, girava con i volantini ‘Stop all’islamofobia!’…”. Remadna non ha paura di denunciare il maschilismo religioso delle banlieue, non ha paura di affermare che interi quartieri, nel silenzio delle élite islamofile, diventano dopo le 18.00 “quartieri per soli uomini”, dove le donne non sono ammesse.

Categoria Cultura

COMMENTO

Franco R. credo che la strada giusta sia questa: favorire “il femminismo” culturale delle donne islamiche. Rompere la segregazione delle donne a far fare un passo in avanti a quel mondo che in parte noi abbiamo vissuto ma superato.

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