La tribù dei Korowai, gli ultimi cannibali del pianeta
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Il racconto del giornalista australiano che li ha avvicinati. «Consumano la carne umana avvolta in foglie di banano. La parte preferita è il cervello, ma mangiano tutto. Tranne i capelli, le unghie e il pene».
di Antonio Murzio) 21 Ottobre 2015 -Linkiesta
Il primo contatto documentato con il mondo esterno è avvenuto con un un gruppo di scienziati nel marzo 1974. Fino ad allora, gli appartenenti alla tribù Korowai, 2500 abitanti delle foreste pluviali nell’area occidentale della Papua Nuova Guinea, ignoravano l'esistenza di altri popoli sulla terra. L’ambiente in cui i Korowai hanno vissuto per millenni è un’area di 600 Kmq, caratterizzata da pianure acquitrinose e dalla minacciosa presenza di due fiumi di cui frequenti e disastrose sono le inondazioni. Popolo di cacciatori-raccoglitori organizzato in clan, proprio per la possibilità di scontri tra clan rivali, hanno sviluppato un particolare tipo di abitazione, che si colloca ad altezze variabili dal suolo, che può arrivare fino ai 45 metri. Le case sull’albero sono costruite a gruppi di due o tre in una radura, resistenti a sufficienza per accogliere famiglie numerose, anche di 10 e più componenti, con animali ed effetti personali.
Difendersi dagli attacchi da clan rivali voleva dire proteggersi dal cadere in schiavitù o addirittura essere vittima di cannibalismo, pratica di cui sono rimasti l'unico popolo tra il quale l'antropofagia sarebbe ancora diffusa. Nel maggio 2006 una troupe televisiva australiana, guidata da Paul Raffaele, ha documentato la vita quotidiana del popolo Korowai, proprio dopo che il giornalista era stato avvicinato da un appartenente alla tribù che aveva raccontato che la sua nipotina di sei anni era stata accusata di stregoneria ed era in pericolo di essere cannibalizzata.
I Korowai sono tra i pochissimi popoli su cui si è addensato per anni il sospetto di cannibalismo, anche se gli antropologi ormai pensano che sia una pratica ormai inesistente, Raffaele è stato il primo uomo occidentale ad attraversare il confine con il territorio inesplorato dei clan Korowai. Mentre le comunità a valle sono stati esposte alla cultura occidentale, infatti, quelle più a monte ancora vivono in gruppi isolati e continuano a praticare le loro abitudini millenarie. Nemmeno la polizia indonesiana si era mai avventurata in quelle zone.
Paul Raffaele trascorse diverse notti dormendo a pochi centimetri di distanza da alcuni degli ultimi cannibali sulla terra. Racconta il giornalista: «Sono riuscito a superare la loro diffidenza iniziale grazie alla mia guida Kornelius, originario di Sumatra. Lui si era recato a visitare i Korowai dieci anni prima, interessato a conoscerli. Lo avevano sottoposto a una prova per decidere se dovevano permettergli di rimanere o meno. Una notte gli hanno dato un pacco di carne e gli hanno detto che era carne umana. Se l'avesse mangiata, avrebbe potuto restare con loro. Se non l'avesse fatto, allora sarebbe dovuto andar via. La mangiò e così è stato accettato».
Paul Raffaele è stato il primo uomo bianco, però, a spingersi così oltre: «Il nostro piano era quello di visitare il clan Letin, che non aveva mai visto un estraneo prima. Anche Kornelius non era andato così lontano per paura di essere ucciso. Siamo caduti in un'imboscata. Eravamo in viaggio sul fiume Ndeiram in piroga, una canoa ricavata da un tronco d'albero, quando ci siamo imbattuti in una folla di uomini nudi che brandivano archi e frecce». Il racconto prosegue: «Non ci aspettavano e allora hanno deciso di attaccarci. Stava calando il buio, urlavano contro di noi. Per fortuna Kornelius parlava Korowai. Hanno detto che avevamo contaminato il dio del fiume. Ce la siamo cavati con una specie di sanzione».
E il cannibalismo? «Per i Korowai - spiega Paul - se qualcuno cade da una casa sull'albero o viene ucciso in battaglia, allora la causa della loro morte è evidente. Ma non capiscono microbi e germi (dei quali le foreste pluviali sono piene), così quando qualcuno muore per loro misteriosamente (in realtà di malattia), credono che sia a causa di un khakhua, un uomo strega che viene dal mondo degli inferi. Il khakhua possiede il corpo di un uomo (non può mai essere quello di una donna) e comincia a mangiare magicamente il loro interno. Secondo la loro logica, devono mangiare il khakhua come lui ha mangiato la persona che è morta. È il loro “sistema giudiziario”, basato sulla vendetta.
Il giornalista australiano descrive poi il suo arrivo: «Era notte quando siamo arrivati nel villaggio. Eravamo in una capanna che si affaccia sul fiume, seduta da un piccolo falò. Due uomini si avvicinano attraverso l'oscurità. Hanno detto: "Ti piacerebbe vedere il cranio dell'ultimo uomo che abbiamo ucciso? Noi lo conoscevamo bene, era un buon amico”. Ho detto di sì e ci hanno portato fuori. L'hanno consegnato a me, non volevo toccarlo, ma non ho avuto molta scelta. Avevano tagliato la parte superiore del cranio per arrivare al cervello, la loro parte preferita».
«Trattano la carne umana come noi occidentali facciamo con la carne di maiale. Avevano tagliato le gambe separatamente, poi le avevano avvolte in foglie di banano. Poi la testa, che spetta alla persona che ha trovato il khakhua. Poi hanno tagliato il braccio destro e le costole a destra come un unico pezzo e la sinistra come un altro. Mangiano tutto, tranne i capelli, le unghie, e il pene. I bambini sotto i 13 non sono autorizzati a mangiare, perché credono che, mangiando il khakhua per loro è molto pericoloso, ci sono spiriti maligni e i bambini sono troppo vulnerabili».
Quindi tra i Korowai il cannibalismo è praticato ancora oggi? «Non posso rispondere perché non sono stato di nuovo in questi ultimi anni anni. Ho parlato con Kornelius, la mia guida. Dice di sì, che nelle regioni più interne è ancora pratica comune. I clan più a monte stanno ancora praticando khakhua», conclude il giornalista-antropologo australiano.
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