Perché negli Stati Uniti ha senso indebitarsi per prendere la laurea
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Il dibattito americano sul sistema universitario ruota attorno alla riduzione delle rette e alle difficoltà degli studenti nel ripagare i prestiti. Ora uno studio dimostra che la realtà è molto diversa dagli stereotipi e dalla vulgata catastrofista
di Luciano Capone | 07 Settembre 2015 ore 13:46 Foglio
Il sistema universitario è al centro della campagna elettorale americana, in particolare nel campo democratico. Tutti i concorrenti alle primarie per le presidenziali propongono riforme che puntano ad abbassare le rette e ad alleggerire il peso dei debiti contratti dagli studenti. Il socialista Bernie Sanders, che macina consensi nella sinistra radicale, propone un piano da 70 miliardi di dollari l’anno per garantire università pubbliche gratuite e Hillary Clinton ne ha uno da 350 miliardi di dollari in dieci anni per abbassare il costo delle rette e del debito. La Clinton ha condito la sua campagna anche con video che raccontano di studenti che si sono caricati di debiti fino a 200 mila dollari. Storie del genere vengono spesso raccontate anche da noi per denunciare la degenerazione di un sistema universitario aperto alla concorrenza e ai privati e in Italia il cliché dello studente americano iperindebitato ha ormai scalzato quello del malato senza assicurazione lasciato morire sui marciapiedi.
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Non che non ci siano problemi con i costi delle rette e difficoltà a ripagare i debiti, ma la realtà è molto diversa dagli stereotipi e dalla vulgata catastrofista. Un po’ di dati che inquadrano la realtà meglio dei casi estremi rilanciati dai media li ha spiegati Susan Dynarski, economista dell’Università del Michigan e della Brookings Institution, un importante think tank di tendenza democrat, sul New York Times, il giornale della sinistra liberal. Dice Dynarski che sul tema i politici citano sempre due numeri: mille miliardi, il totale dei debiti degli studenti, e sette milioni, il numero degli studenti indebitati in default. La conseguenza logica suggerita sarebbe che l’aumento dell’indebitamento renda più probabile andare in default. Ma è vero esattamente il contrario. Gli studenti che si indebitano di più sono quelli che guadagneranno di più e quindi con una incidenza del debito più bassa rispetto agli altri. Secondo i dati raccolti dall’economista, solo il 2 per cento degli studenti termina il college con più di 50 mila dollari di debiti – i casi rilanciati da media e politici sono davvero eccezionali – mentre il 68 per cento conclude gli studi con meno di 10 mila dollari (il 43 per cento non si indebita affatto). E paradossalmente i problemi riguardano proprio coloro che hanno meno debiti. I casi di default si concentrano tra i milioni di studenti che iniziano l’università ma non terminano gli studi, contraggono un piccolo debito per uno, due, tre anni di frequenza ma poi, senza laurea, non riescono a trovare lavori ben retribuiti che gli consentono di ripagare il mutuo. Insomma, sono gli studenti con meno debiti quelli che rischiano di più: il 34 per cento di quelli che prendono in prestito meno di 5 mila dollari finisce in default e la percentuale scende man mano che si sale, il 29 per cento per chi ha debiti tra i 5 e i 10 mila dollari, il 18 per cento per chi ne ha oltre i 100 mila. Se è lapalissiano che se nessuno si indebita nessuno fallisce, è anche vero che chi si indebita meno corre maggiori rischi di fallire. Quindi la soluzione proposta dalla Dynarski non è quella di far indebitare di meno gli studenti, ma di legare il pagamento del debito ai guadagni futuri, insomma passare dalle rate fisse a un derivato per rendere sostenibile ed estinguibile il mutuo.
Sicuramente negli ultimi decenni c’è stato un aumento notevole delle rette universitarie e una corrispondente crescita del debito mediano, che è più che raddoppiato dai 3.500 dollari del 1989 agli 8.500 del 2010, ma sono contemporaneamente aumentati gli stipendi percepiti dai laureati. In un altro studio, sempre della Brookings, è stato evidenziato come la quota di reddito che uno studente-debitore deve dedicare al pagamento del prestito è del 4 per cento, poco più alta del 3,5 per cento del 1992 ma più bassa del 4,3 per cento del 1998. Un altro dato da considerare è che, secondo uno studio della Georgetown University, un laureato americano guadagna nell’arco della sua vita 1 milione di dollari in più rispetto a un diplomato. Insomma, la laurea ha un valore molto alto e indebitarsi per prenderne una può essere uno dei migliori investimenti possibili. Esistono alcune criticità, come visto soprattutto per le famiglie degli studenti che non riescono a terminare gli studi, ma non corrispondono al racconto della bolla politico-mediatica e soprattutto non si risolvono con proposte populiste.
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