La Francia chiede la prigione per chi non vuole celebrare le nozze gay
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La campagna diffamatoria, la carriera distrutta e la richiesta di condanna a tre mesi per la vicesindaco di Marsiglia, che ha osato fare obiezione di coscienza davanti al matrimonio di due lesbiche
di Mauro Zanon | 02 Settembre 2015 ore 17:42
Parigi. Quando Sabrina Hout, ex vicesindaco socialista di Marsiglia, si presenta martedì pomeriggio dinanzi ai giudici del tribunale correzionale, fatica a reggersi in piedi. Appare stordita di fronte a Claude e Hélène, una coppia di lesbiche che l’ha denunciata per essersi opposta alla celebrazione del loro matrimonio il 16 agosto 2014. Accusata di “discriminazione basata sull’orientamento sessuale”, Hout ha giustificato la sua scelta di non pronunciare l’unione tra le due donne dicendo di avere avuto molti problemi personali che non le permettevano di restare serena in quel momento, di non sapere che il consigliere municipale al quale aveva chiesto di sostituirla non possedeva i requisiti legali per condurre la cerimonia e, soprattutto, in quanto musulmana, di non avere intenzione di andare contro il suo credo religioso.
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Contro Hout si è messa in moto una campagna mediatica organizzata dalle reti Lgbt e in primis dall’associazione Mousse, che ha sporto denuncia contro l’ex vicesindaco socialista (sul loro sito si presentano come “I giustizieri Lgbt”) per stigmatizzarla e metterla all’angolo, provocando inevitabili ripercussioni anche nel suo ambito lavorativo: “Mi hanno insultato dandomi dell’omofoba, il che è completamente falso. Ho vissuto un inferno. Il mio nome sui giornali… Al lavoro mi hanno insultato in ogni modo, dandomi della terrorista, jihadista!”. Christian Lancien, amico e consigliere municipale che l’ha sostituita nella cerimonia, causando poi l’annullamento del matrimonio perché non era abilitato, ha cercato di difendere, come parte civile nel processo, l’operato di Hout: “Mi ha telefonato per chiedermi di officiare al suo posto e precisato che nella sua religione non era permesso farlo. Pensavo di avere la facoltà di celebrare”. Ma non c’è stato niente da fare.
Al termine dell’udienza, il procuratore Marie-Blanche Régnier ha giudicato “legittima la richiesta delle vittime che attendono un risarcimento”, salutando la loro “battaglia legale e giusta” e chiedendo per l’ex vicesindaco socialista una condanna a 3 mesi di prigione e a 1.500 euro di multa per reato di “discriminazione basata sull’orientamento sessuale”. “Per colui o colei che esercita un mandato di consigliere, le credenze religiose non possono prevalere sulle leggi della République”, ha aggiunto il procuratore, sottolineando che questo processo rappresenta “una prima assoluta” dall’entrata in vigore, nel maggio 2013, della legge Taubira sui matrimoni tra coppie omosessuali. Il tribunale emetterà la sua sentenza il prossimo 29 settembre, mentre l’unione tra Claude e Hélène, dopo il primo tentativo di agosto 2014, è ufficiale dal 14 febbraio scorso.
Le due, come hanno spiegato martedì ai giornalisti, non si sono però accontentate dell’ufficializzazione delle loro nozze otto mesi dopo, perché si ricordano bene quella mattina d’agosto ad “assistere in lacrime all’annullamento del matrimonio”. E così, hanno deciso di “impegnarsi fino in fondo nella speranza di una sentenza esemplare per l’applicazione della legge”. In altre parole, di una crocifissione pubblica e mediatica dell’“omofoba” Hout. La quale, dopo aver pagato lo scorso anno quella scelta con la revoca della sue funzioni da vicesindaco con delega alla Famiglia, è costretta ora all’autodafé, per via delle pressioni insistenti di media e associazioni Lgbt. Martedì, quasi in lacrime, ha detto: “Sono veramente dispiaciuta. Mi vergogno di aver fatto ciò che ho fatto, se è stato interpretato come un gesto omofobo”.
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