L’assistenza sessuale ai disabili in Italia è ancora tabù
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Un ddl che istituisce il progetto è fermo da un anno in Parlamento. La prostituzione non c’entra, gli specialisti sono educatori e psicologi
Marco Sarti, Linkiesta 30.5.2015
«In Italia le persone disabili sono considerate come dei bambini. Angeli asessuati. Ma non è così, le persone con disabilità hanno delle necessità fisiche come tutti gli altri». Fabiano Lioi è un musicista. Affetto da Osteogenesi Imperfetta, da qualche giorno ha lanciato una petizione online per accelerare l’iter legislativo di una proposta presentata un anno fa al Senato. È un provvedimento rivoluzionario. «Un obiettivo di civiltà», destinato a permettere anche nel nostro Paese l’assistenza sessuale ai disabili. Nulla a che vedere con la prostituzione. Basta leggere la norma per rendersi conto che il progetto è molto più complesso. «La dimensione della sessualità delle persone con disabilità - così il disegno di legge - può e deve essere sostenuta attraverso un intervento di assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità».
Peccato che l’argomento sia ancora un tabù. «Di sessualità e handicap in Italia non si può parlare. C’è un pregiudizio totale», racconta Lioi. La petizione ha l’obiettivo di smuovere le acque. «Come tutti i disegni di legge dalla portata innovativa, anche questo provvedimento per essere approvato ha bisogno di trovare un consenso nell’opinione pubblica» ammette il senatore Pd Sergio Lo Giudice, primo firmatario del testo. L’idea della legge è nata un anno fa, dopo il suo incontro con il comitato LoveGiver (www.lovegiver.it), la prima organizzazione italiana impegnata apertamente per il riconoscimento dell’assistenza sessuale ai disabili. Un’esperienza raccontata da ricercatori scientifici, operatori del settore e tanti diretti testimoni nel libro “LoveAbility”, edito da Erickson. «È stato proprio quel libro, uscito lo scorso anno, a sollevare un po’ di attenzione sul fenomeno» spiega Lo Giudice.
«Come tutti i ddl dalla portata innovativa, anche questo provvedimento per essere approvato ha bisogno di trovare un consenso nell’opinione pubblica»
È una realtà poco conosciuta, non per questo poco diffusa. Ma è anzitutto una questione di diritti. In Italia già trent’anni fa la Corte Costituzionale ha riconosciuto la sessualità come «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana», confermando che «il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizione soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 Cost. impone di garantire». Ma quella dell’assistenza sessuale per i disabili è soprattutto una questione sentita. Specie da chi la vive sulla propria pelle senza poterne parlare liberamente.
In pochi giorni la petizione sul sito Change.org ha raggiunto 12mila firmatari. Chi conosce l’argomento non sembra stupirsi troppo. Maximiliano Ulivieri è il fondatore del comitato LoveGiver. Da due anni combatte perché anche in Italia venga riconosciuta la figura dell’assistente sessuale. Oltre alla formazione di futuri specialisti, lo scorso anno il comitato ha dato vita a un osservatorio nazionale sul fenomeno. Un organo coordinato dal presidente dell’Istituto italiano di sessuologia scientifica Fabrizio Quattrini che attraverso oltre 66 protocolli di osservazione ha creato le basi per il disegno di legge depositato al Senato (ma un testo identico è stato presentato più recentemente anche alla Camera dei deputati).
«Purtroppo - racconta Ulivieri - in Italia manca ancora la conoscenza di quanto sia reale e diffuso il bisogno». Molti si rivolgono privatamente al comitato. «Spesso le famiglie rappresentano il primo problema - continua il fondatore di LoveGiver - Vedendo i propri figli disabili come eterni bambini, i genitori non riescono neppure a cogliere queste necessità». Per comprendere il fenomeno è importante circoscriverne la portata. «Io sono un disabile, ma sono sposato e ho avuto le mie storie», dice Ulivieri. Come spiega il disegno di legge, l’assistenza sessuale diventa necessaria solo in situazioni specifiche. Per i disabili con «una ridotta autosufficienza a livello di mobilità e motilità», ad esempio. Senza dimenticare particolari disabilità mentali e i casi di persone dall’aspetto fisico lontano dai modelli estetici dominanti. Necessità reali, a cui in certe situazioni si aggiunge «l’impossibilità di pervenire autonomamente a soddisfacenti pratiche di autoerotismo».
La forzata assenza di sessualità non è priva di conseguenze. «Nel disabile psichico la difficoltà a vivere la sfera dell’intimità e della sessualità alimenta la perdita di autonomia» conferma il testo parlamentare. Ne possono derivare stati di emarginazione affettiva e relazionale. «Sono costrizioni che formano il carattere - spiega ancora Ulivieri - Si diventa chiusi, ma soprattutto si inizia a percepire il proprio corpo come una fonte di dolore».
In assenza di una legge, ognuno si arrangia come può. «Nella maggior parte delle situazioni - spiega il senatore Lo Giudice - le famiglie sono obbligate a ricorrere al mercato della prostituzione». Un fenomeno che riguarda uomini e donne in uguale misura, ovviamente. Eppure limiti umani e ambientali spesso non rendono possibile neppure questa soluzione (peraltro estremamente limitata rispetto alle necessità di cui si parla). «In alcuni casi - continua Ulivieri - sono le madri ad essere costrette a masturbare i figli». Vicende drammatiche, spesso poco conosciute. Il disegno di legge offre una soluzione. Il testo istituisce la figura dell’assistente «per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone disabili». Un operatore che deve essere formato con un preciso ciclo didattico di tipo «psicologico, sessuologico e medico», con l’obiettivo finale di aiutare le persone con disabilità psichica o fisico motoria «a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale e a indirizzare al meglio le proprie energie interne, spesso scaricate in modo disfunzionale in sentimenti di rabbia e aggressività».
«Nel disabile psichico la difficoltà a vivere la sfera dell’intimità e della sessualità alimenta la perdita di autonomia»
Il sesso rappresenta solo una minima parte dell’intervento. «Non è quello il concetto - racconta Fabiano Lioi - Parliamo di prendere coscienza del proprio corpo. Io sono un musicista e un attore, lo conosco il mio corpo. Ma ho amici affetti da distrofia muscolare che non possono dire lo stesso». Maximiliano Ulivieri è d’accordo. «Non si tratta solo di far provare esperienze fisiche ed emotive, ma di agire a livello psicologico ed educativo». In attesa di un riconoscimento ufficiale, il comitato LoveGiver non può promuovere specifici corsi. Però ha già selezionato un primo gruppo di assistenti sessuali. È stata una valutazione lunga e complessa, coordinata direttamente dal professor Quattrini. «Sono stati usati criteri molto severi - dice Ulivieri - privilegiando molto la sfera empatica». Di quasi cento richieste, alla fine sono state individuate solo trenta persone. Uomini e donne. Anche stavolta è bene sottolineare la distanza da qualsiasi fenomeno prostitutivo. «I nostri assistenti non sono escort - racconta Quattrini - Per la maggior parte sono educatori, psicologi, in alcuni casi fisioterapisti».
Mentre il Parlamento continua a ignorare l’argomento, a livello regionale qualcosa si muove. Negli ultimi mesi almeno tre amministrazioni hanno assicurato di voler prendere in considerazione il progetto, annunciando percorsi di sperimentazione. Il comitato LoveGiver racconta l’interesse di Toscana, Emilia Romagna e Piemonte. Inutile negare che nell’opinione pubblica restano i dubbi di tanti. Spesso avvicinata erroneamente alla prostituzione, l’assistenza sessuale per le persone disabili viene vista con disagio, quando non apertamente osteggiata. «Esiste qualcuno a cui questo progetto non va a genio?- risponde Ulivieri - Beh, esiste anche qualcuno che se ne frega. Il consenso totale non si potrà mai ottenere su nulla». Gran parte delle principali associazioni legate al mondo della disabilità non si sono ancora espresse. «Mi invitano a decine di convegni - continua il fondatore di LoveGiver - Mi fanno parlare, poi nessuno vuole mettere la faccia sul nostro disegno di legge. Non capiscono che se tutti si nascondono è difficile creare consenso attorno a questo progetto».
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