Dimenticare la libertà e tornare bambini, il nostro dramma secondo Kundera

-ROMA CAPOCCIA - SPINA DI BORGO Fernández in una settimana ha dato più interviste che Ratzinger in 24 anni

13.7.2023 M.Catalucco, M. Matzuzzi ilfoglio.it lettura 2’

-IL PENSIERO DELLO SCRITTORE
FRANCESCO M. CATALUCCIO 12 LUG 2023

Era l’ultimo grande cantore dell’Europa centrale che sperava solo di tornare invisibile. Il vero umanismo della società si rivela attraverso la sua attitudine nei confronti della vecchiaia

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È morto Milan Kundera. Un sillabario

Milan Kundera se n’è andato a Parigi (dove era emigrato nel 1975) all’età di 94 anni. Ma la sua voce si era spenta da tempo. Era del resto sempre stato un uomo molto riservato. In un’intervista a Philip Roth, aveva confessato: “Quando ero un ragazzino, sognavo un miracoloso unguento che mi avrebbe reso invisibile. Poi sono diventato adulto, ho iniziato a scrivere, e ho voluto avere successo. Ora che sono conosciuto vorrei avere un unguento che mi renda invisibile”. E’ stato un grande scrittore, uno dei più grandi della seconda metà del Novecento. Romanzi come Lo scherzo (1967), La vita è altrove (1973) e L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984), e i racconti de Il libro del riso e dell’oblio (1978), tutti pubblicati in italiano da Adelphi, pur essendo cambiato profondamente il contesto storico nei quali sono nati, rimangono attuali per la bellezza della scrittura, la costruzione dei personaggi e la profondità delle riflessioni filosofiche. Tutti fanno i conti con la morte della cultura nella nostra epoca. Kundera si colloca nella grande tradizione del romanzo dell’Europa centrale. I suoi riferimenti costanti sono stati Kafka, Musil, Broch, Gombrowicz: “romanzieri meravigliosamente diffidenti verso l’illusione del progresso, diffidenti del kitsch della speranza. Il loro dolore per il tramonto dell’occidente, non un dolore sentimentale. E’ un dolore ironico”….
-ROMA CAPOCCIA - SPINA DI BORGO Fernández in una settimana ha dato più interviste che Ratzinger in 24 anni
MATTEO MATZUZZI 13 LUG 2023

Il neo prefetto del dicastero per la Dottrina della fede rilascia un’intervista dietro l’altra e in tutte si giustifica, tenta di rassicurare, elenca pubblicazioni e curriculum, difende il Papa e dice che chi lo attacca in realtà ce l’ha con Francesco

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Il neo prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, mons. Victor Manuel Fernández, prossimo al cardinalato, rilascia un’intervista dietro l’altra. Ogni giorno una o due, ai media d’ogni angolo del globo terracqueo. E in tutte si giustifica, tenta di rassicurare, elenca pubblicazioni e curriculum, difende il Papa e dice che chi lo attacca in realtà ce l’ha con Francesco. Ha parlato così tanto, e di tutto, dalla benedizione delle coppie gay – che sembra essere divenuta per molti intervistatori il tema decisivo per la fede in questo Terzo millennio, quasi si potrebbe dire una fissazione – ai Sinodi, dalle nuove sfide alla cattiveria del Sant’Uffizio di una volta e dei metodi “immorali” seguiti dai suoi predecessori. Parla talmente tanto, mons. Fernández, che in una sola settimana ha rilasciato più interviste di quante ne concesse Joseph Ratzinger nel corso del suo mandato alla Dottrina della fede, durato però ventiquattro anni. E’ un segno di debolezza, come lo è stata l’inusuale pubblicazione da parte della Sala stampa vaticana di (quasi) tutta l’opera omnia del novello prefetto. A san Tommaso mica gliel’avrebbero pubblicata la bibliografia. Di solito lo si fa quando bisogna dare l’idea al pubblico che il relatore non è un parvenu ma un titolato esperto della materia….

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