STORIA/ Controllo totale: nessuna differenza tra “1984” e la Repubblica di Venezia
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I servizi segreti veneziani svolgevano un’opera di informazione capillare, non esitando a praticare l’omicidio politico per tutelare lo Stato
24.1.2023 Giuseppe Gagliano ilsussidiario.net lettura3’
L’azione dei servizi di sicurezza – ieri come oggi – è stata caratterizzata da cinismo, spregiudicatezza e spesso efferatezza. Per quanto possa sembrare spiazzante dal punto di vista storico paragonare la collaborazione oramai accertata e acclarata da innumerevoli studi di storici, giornalisti e magistrati tra i servizi segreti, le organizzazioni criminali e quelle terroristiche e le logge massoniche coperte con quella che fu posta in essere dai servizi segreti veneziani con i banditi, i rinnegati e le prostitute, questo parallelismo ci consente però di comprendere alcune costanti non marginali di natura storica; tenendo salvo il fatto che, pure all’interno di contesti storici così lontani, determinati modus operandi sono stati presenti nella prassi operativa dei servizi segreti del passato e di oggi.
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Ed è ancora più significativo il fatto che l’ossessione ed insieme la necessità di sorvegliare costantemente i propri cittadini in nome della sicurezza dello Stato sia un’ossessione di ieri come di oggi. Il grande storico Paolo Preto nel suo magistrale saggio storico I servizi segreti di Venezia (Il Saggiatore, 2016) ricorda come “La prima impressione, scorrendo le migliaia di rapporti quasi quotidiani agli Inquisitori e del Capitan grande è di uno spionaggio invadente, capillare, onnipresente, di una società sorvegliata in ogni persona in ogni momento del giorno e della notte, quasi un’anticipazione dell’Oceania del 1984 di Orwell, con i tre inquisitori al posto del Grande Fratello” (pag. 533)
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L’uso di sicari – o come li chiameremmo noi oggi, killer – per eliminare i rinnegati di Venezia era una prassi consolidata da parte sia del Consiglio dei dieci che degli Inquisitori. Tra i primi casi accertati vi è quello del 1495 in cui il Consiglio dei dieci accettò le offerte di un certo Jacopo di Venezia di avvelenare il perfido Barbetta che era passato al servizio del sultano. Un altro caso interessante risale al 1573, quando il Consiglio dei dieci ordina al Capitano generale di annegare un certo Domenico da Oderzo che si era messo al servizio del nemico turco. Ma ancora più intrigante – ed inquietante – il fatto che i servizi segreti veneziani si servissero di malfattori per uccidere altri malfattori. È per esempio il caso di Giambattista da Barletta, ex frate ed ex soldato disertore, che alla fine del 1605 si mette al servizio della Turchia. Quando si viene a sapere delle intenzioni offensive sul piano militare il bailo Ottaviano Bon istiga contro di lui altri due rinnegati per liquidarlo, ottenendo da loro la consegna della testa che verrà ricompensata da due salvacondotti.
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La stessa spregiudicatezza della colta Venezia veniva posta in essere nei confronti dei nemici interni: nel 1595 verrà dato ordine di torturare e uccidere un certo Fra Giorgio da Casale a causa della sua eccessiva curiosità in merito alla storia di Cipro; nel settembre del 1754 gli inquisitori incaricheranno il Capitano grande di assoldare due sicari per avvelenare il friulano Piero de Vettor, reo di aver trafugato il segreto dello smalto.
Dal punto di vista strettamente storico, per Vladimir Lamansky – uno dei massimi studiosi dei servizi segreti veneziani – l’assassinio politico era un ingranaggio necessario, uno strumento indispensabile della politica veneziana. Ma gli omicidi di Stato andavano occultati con ogni mezzo per evitare incidenti diplomatici o rappresaglie. Procedere sempre dunque in modo cauto e segreto. Ma la segretezza era da mantenere lungo tutto il processo decisionale, sia quando veniva deliberata la necessità di eliminare il nemico, sia quando veniva eseguito l’omicidio e poi veniva occultato il cadavere. Proprio per salvaguardare la ragion di Stato gli organismi di sicurezza o di intelligence di Venezia spesso si servivano di sicari scelti, come quando decisero di uccidere il pascià di Erzegovina o come quando vennero elogiate le prestazioni del sicario Pietro dell’Aio, originario di Badia Polesine, che era stato colpito da tre bandi e due di galera, che aveva ammazzato personalmente molti suoi nemici ma che però poteva essere utile a Venezia