Nata in Cina, emigrata in Thailandia a 10 anni e poi in Canada, denuncia le parole inclusive che si trasformano in cancel culture
- Dettagli
- Categoria: Cultura
Nata in Cina, emigrata in Thailandia a 10 anni e poi in Canada, denuncia le parole inclusive che si trasformano in cancel culture
02 GEN 2023 ilfoglio.it lettura3’
L'odio per la libertà di parola unisce i settari religiosi e quelli della cancel culture Nell'Inghilterra post cristiana è meglio non pronunciare la parola “Natale”
Un’insegnante, che lavorava da otto anni a Sciences Po, è accusata di discriminazione da parte di alcuni studenti per essersi rifiutata di utilizzare i termini “leader” e “follower” nel quadro del suo corso di danza, preferendo i termini “uomo” e “donna”. La violinista Zhang Zhang, membro dell’Orchestra filarmonica di Montecarlo, denuncia questa polizia del linguaggio. Nata in Cina durante la Rivoluzione culturale maoista, Zhang Zhang è emigrata in Thailandia all’età di 10 anni, spostandosi in seguito in Canada. Ha continuato la sua formazione musicale negli Stati Uniti, poi in Svizzera. Imprenditrice nel campo sociale, ha fondato e dirige un’associazione caritativa, Zhang MusiQ.
All’alba del nuovo millennio, scrive Zhang Zhang sul Figaro, mentre le innovazioni fanno vivere agli esseri umani delle realtà che potevano soltanto sognare fino a pochi decenni fa, come osservare l’alba su Marte, si sta producendo un altro tipo di cambiamento in nome del Progresso, che molti di noi non immaginavano possibile. Chi avrebbe mai potuto credere che in Francia, il paese dei Lumi, una delle sue grandi istituzioni avrebbe rimproverato e censurato una dipendente per essersi rifiutata di piegarsi all’ideologia assurda e discriminatoria che condanna e punisce con zelo le opinioni, le tradizioni e le pratiche che non rientrano nello spazio sempre più stretto considerato “accettabile” da una minoranza di giovani, talvolta isterica e tirannica?
Chi avrebbe mai creduto che designare una donna con il termine “donna” e un uomo con il termine “uomo” nel contesto dell’insegnamento della danza da sala tradizionale – dove gli archetipi di genere rappresentano dei ruoli tecnicamente definiti – avrebbe potuto determinare una caccia alle streghe tale da portare alla perdita del lavoro? Peccato che questi rivoluzionari non siano nati nel posto giusto al momento giusto. La Cina degli anni Sessanta avrebbe potuto essere un terreno ideale per la loro imitazione delle guardie rosse, poiché uno dei cambiamenti radicali verificatesi durante la rivoluzione culturale è stato il divieto dei titoli della cortesia tradizionali. Signore, signora, signorina, maestro, professore, dottore… tutti annullati in un colpo solo per essere sostituiti dal termine egualitario e neutro di genere: compagno.
Chiamare un uomo “signore” o una donna “signora”, come vuole la tradizione, radicata nella civiltà millenaria confuciana, era considerato come un segno di attaccamento ai mali del feudalesimo. Quelli che non riuscivano ad adottare il nuovo sistema erano denunciati e perseguitati come nemici evidenti del popolo, reazionari-capitalisti-imperialisti-borghesi-antirivoluzionari, sabotatori della grande rivoluzione e traditori del progresso della nazione e della civiltà cinese! Le persone anziane o che avevano delle difficoltà ad adattarsi rapidamente a questi cambiamenti venivano rimbrottate, e talvolta picchiate selvaggiamente dalle guardie rosse più zelanti.
Un lapsus che portava a chiamare una giovane ragazza “signorina” poteva facilmente finire con uno schiaffo di quest’ultima, soprattutto se era particolarmente progressista. Che epoca! Prima che la professoressa di danza di Sciences Po decidesse di dimettersi, la sua gerarchia le aveva chiesto di adattare il suo vocabolario, rivolgendosi ai ballerini dei suoi corsi solamente con i termini “leader” e “follower”, per “non offendere le sensibilità di alcuni studenti”. Se ci si sente in sicurezza solo quando vengono ridotte al minimo tutte le caratteristiche umane, senza contrasti, senza individualità, senza generi, qual è l’interesse di partecipare a un ballo da sala? Tanto vale coprirsi dalla testa ai piedi con la stessa divisa e creare una squadra di marcia sincronizzata.
Questo caso non è l’unico controverso sulla danza verificatosi negli ultimi giorni. Alcune settimane fa, il celebre coreografo John Neumeier ha visto interrompersi bruscamente la sua collaborazione con il Royal Danish Ballet, partenariato fecondo da sei decenni a questa parte. In seguito alle denunce di alcuni ballerini, i quali hanno giudicato razzista una sequenza specifica di uno dei suoi balletti – sequenza in omaggio alla danza di caccia tradizionale africana dove Otello sogna la sua gioventù guerriera (…). L’esclusione dell’insegnante di danza di Sciences Po Parigi, così come quella di John Neumeier a Copenaghen, non danno ragione ai loro accusatori.
Al contrario, ciò mostra che sono esattamente come coloro che dicono di combattere: dei bigotti discriminatori (…). La vera maturità sta nella capacità di tollerare la differenza. La possibilità di vivere armoniosamente in una società dove delle idee differenti possono coesistere è un privilegio. L’universalismo è uno dei segni più belli della libertà e della democrazia. Ragazza, ragazzo, donna, uomo, leader, follower… non abbiate paura, ballate!