Dal Pci alla Lega e al M5s. Storia dell'antieuropeismo
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Utile ripasso: 60 anni fa il Partito comunista era anti europeo e attaccava i Trattati. Oggi sono Salvini e i grillini a pensare quelle stesse cose
di Luciano Capone 28 Marzo 2017 alle 06:00 da Il Foglio.it
Pietro Ingrao intervenne in aula alla Camera contro il trattato istitutivo della Cee (foto LaPresse)
Roma. In questi giorni di celebrazioni per i 60 anni dei trattati di Roma si è parlato molto degli ideali alla base del progetto europeo, del “sogno di pochi che è diventata la speranza di molti”, come dice la dichiarazione dei leader dei 27 stati membri, della capacità di statisti come Adenauer, De Gasperi e Schuman di immaginare un futuro di pace e progresso laddove c’erano le macerie e le tragedie di due Guerre mondiali. “Celebriamo la tenacia e l’intelligenza dei nostri padri fondatori europei”, ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. E’ sicuramente necessario ricordare lo spirito che ha portato alla nascita della casa comune europea per cercare di risolvere i grandi problemi che si presentano all’orizzonte, ma forse è altrettanto utile guardare a chi fossero gli oppositori della comunità europea, e quali le loro motivazioni, per capire l’antieuropeismo di oggi. Non in molti hanno ricordato che in Italia il progetto europeo ha avuto un unico e strenuo oppositore, in Parlamento e nel paese: il Partito comunista.
Il trattato che istituiva la Cee fu infatti approvato con un’ampissima maggioranza, con 311 voti favorevoli di democristiani, repubblicani, socialdemocratici, liberali e persino monarchici e missini, con l’astensione dei socialisti e con 144 voti contrari del gruppo comunista. Ora, paradossalmente, dopo una lunga e tardiva riflessione sulla natura e sugli effetti del socialismo reale, gli eredi politici del Pci sono i più euroentusiasti, mentre le forze moderate di centrodestra, eredi della tradizione popolare e liberale, mostrano un certo scetticismo nei confronti dell’assetto dell’Unione.
Ma, a parte il ribaltamento di posizioni, che ha le sue evidenti motivazioni storiche, ciò che è interessante notare a distanza di 60 anni è la continuità dei principali argomenti di opposizione al processo d’integrazione, allora espressi dai comunisti e ora sventolati del M5s di Grillo e dalla Lega di Salvini. “Questa operazione apre la via al rafforzamento del predominio dei grandi gruppi monopolistici internazionali ed interni”, diceva alla Camera il 30 luglio del 1957 Pietro Ingrao nella dichiarazione di voto del Pci. “Si tratta di forze che sono state riconosciute come nemiche della democrazia italiana, e non solo da noi, che sono state individuate come la causa dell’arretratezza del nostro paese”. Le parole di Ingrao non sono molto dissimili dagli argomenti utilizzati ora da grillini e sovranisti contro il dominio delle banche e dell’élite finanziaria europea che avrebbe impoverito l’Italia. Naturalmente la Cee nasceva per rafforzare l’Europa occidentale e democratica rispetto alla minacciosa presenza del moloch sovietico e questo progetto, per un partito legato con l’Urss a dopio filo, ideologico ed economico, era inaccettabile. La Cee escludeva in origine il modello socialista e, secondo i comunisti, univa l’Europa imponendo un sistema economico che coincideva con quello capitalista, togliendo l’autonomia agli stati nella ricerca di modelli alternativi come quello socialista: “E ciò avviene in base ad una scelta politica precisa – diceva Ingrao – tanto è vero che questi trattati procedono ad una integrazione non di economie complementari, ma di alcune forze economiche di determinati paesi”. La stessa critica portata avanti da chi oggi sostiene che l’Ue sia funzionale alle multinazionali e in contrasto con l’interesse dei cittadini (all’epoca i termini usati erano “gruppi monopolistici” e “proletariato”).
L’altra linea di continuità dell’antieuropeismo, carsicamente riemersa nella destra sovranista e nel M5s, è l’ostilità per la Germania. “Votiamo contro questi trattati – diceva Ingrao – per il posto che da essi vien fatto al grande capitale tedesco, al riarmo e al ritorno del militarismo”. Oggi la preoccupazione principale non è il militarismo, ma i partiti anti europeisti si scagliano quotidianamente contro Berlino e descrivono l’Ue come qualcosa di simile al Quarto Reich, lo strumento dell’imperialismo commerciale tedesco sul continente.
Ulteriore continuità tra gli anti europeisti di allora e di oggi è il rapporto dell’Unione con gli Stati Uniti e la Russia. “Perché dovremmo sentire la suggestione di questi ideali così detti europeistici, perché dovremmo sentire la suggestione di questa difesa della civiltà occidentale? Per quel che ci riguarda noi questa suggestione non la sentiamo”, aveva detto il comunista Giancarlo Pajetta alla Camera qualche giorno prima di Ingrao, a proposito di un’Europa che “non è autonoma, non è indipendente, né politicamente né economicamente, perché questa Europa è l’Europa della Nato”. E ancora: “Questa Europa è diretta dagli Stati Uniti, i quali la orientano in una determinata direzione, contro l’Unione sovietica”. Naturalmente in sessant’anni molte cose sono cambiate, ma non si può fare a meno di notare come anche oggi i partiti anti europeisti siano i più filo russi. Sia la Lega che il M5s vedono Putin come un punto di riferimento, entrambi vogliono l’eliminazione delle sanzioni alla Russia. Salvini nega la natura autoritaria di Vladimir Putin. Il M5s vuole proporre addirittura l’uscita dalla Nato, perché giudica l’Alleanza atlantica come la causa delle tensioni con Mosca. Nelle poche paginette del “Libro a 5 stelle” per la riforma dell’Europa presentato da Di Maio, la Russia compare due volte, la prima per dire che bisogna togliere le sanzioni a Mosca e la seconda per dire che l’Europa deve smetterla di fare “propaganda” anti russa.
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