Da novità a realtà affermate: la fase più delicata delle start up
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L'ideatore che passa da essere solo un amico a dover recitare come ad. La squadra iniziale che cambia. Nuovi professionisti che arrivano. Deleghe, mission, valori: così cresce una giovane azienda.
PAOLO DE NADAI, LETTERA43, 12.2.2017
La nascita di una start up è un po’ come un Big Bang in miniatura: un’idea esplode in testa, se ne avverte la potenzialità imprenditoriale e sia l’ideatore sia tutti i conoscenti o amici che credono nel progetto ci si tuffano con entusiasmo condito da tanta eccitazione, senza pensare alla quantità di tempo impiegato o alla fatica che comporta, perché è un progetto di tutti che diventa un’opportunità per esprimere il proprio talento.
IL TEAM È FONDAMENTALE. Ma cosa succede quando la start up si afferma, cresce ed entra inevitabilmente all’interno delle logiche di funzionamento di un’azienda? Come ripeto sempre, la start up non deve basarsi solo su un’idea di successo, ma principalmente sulle qualità, il talento e le competenze del team che crede in quell’idea. «Ideas are cheap, execution is everything», dice Chris Sacca, uno dei primi investitori a credere in Twitter e in Uber. O meglio: a credere nelle persone che avrebbero portato avanti i progetti. Io sono d’accordo con lui, tanto da aver incorniciato la sua citazione e averla appena nel mio ufficio. Ecco perché do sempre importanza al team di lavoro.
POCHE COMPETENZE INIZIALI. Nelle fasi iniziali di una start up spesso il team è composto da amici e molti non hanno alcuna competenza, o ne hanno poche, per affrontare una sfida del genere. Si impara tutto sul campo. Qualcuno ce la fa, qualcun altro meno. C’è anche chi scappa. La mole di lavoro è tanta, il ritmo frenetico. Il più delle volte si fanno cose perché si pensa debbano essere fatte, ma senza un’analisi attenta e senza un vero ordine di priorità.
Mano a mano che la start up cresce e accoglie nuove risorse non ci sono più i detentori di quello che è lo spirito originario dell’avventura imprenditoriale
Cosa succede se l’execution è stata buona e la start up sopravvive e cresce? C’è l’esigenza di sviluppare unit aziendali fondamentali per accrescere il business. A seconda della tipologia della start up può essere la divisione Ricerca & Sviluppo, o quella di innovazione digitale o quella di analisi.
IMPRENDITORE NON SIGNIFICA MANAGER. Il giovane imprenditore deve per forza comprendere che fare l’imprenditore non è assolutamente la stessa cosa di fare il manager. L’imprenditore è custode della visione globale e l’obiettivo ultimo dove vuole portare l’azienda, ma non può avere né le hard skill né tanto meno le soft skill per poter coordinare e indirizzare tutte le unit. Senza contare che certamente non ha il dono dell’ubiquità o la capacità di fare 45 cose contemporaneamente come la Dea Kali.
UMILTÀ E ANALISI DI CIÒ CHE SERVE. È quindi importante che lo startupper, dopo i primi momenti di esaltazione conseguenti a esposizione mediatica (soprattutto in questo periodo di grande attenzione alle start up), di riconoscimenti da parte di famigliari e amici, di nuovi contatti che sembrano cerchino tutti lui, si prenda un momento di umiltà e capisca, nell’ordine: quale unit o divisione ha necessità di sviluppare; che tipo di professionalità deve inserire; che competenze tecniche deve avere questa persona; che personalità deve avere questa risorsa.
OBIETTIVI DA METTERE NERO SU BIANCO. L’ultimo punto è in realtà molto importante: mano a mano che la start up cresce e accoglie nuove risorse (magari perdendo parte delle originarie), non ci sono più i detentori di quello che è lo spirito originario dell’avventura imprenditoriale. Penso sia fondamentale prendersi un attimo, sedersi a un tavolo con i collaboratori più stretti e mettere nero su bianco una vision su cosa vuole essere l’azienda, la mission che esponga gli obiettivi per dare un valore aggiunto al target di riferimento e un elenco di valori che dovranno essere i capisaldi che tutti i dipendenti terranno a mente. È solo in questo modo che si può preservare quello spirito di sfida positiva e entusiasmo perenne che caratterizza il lancio di una start up e che regola il mood con il quale ogni servizio o prodotto sarà proposto. Compreso l’hiring di nuovo personale.
Non c’è nulla di più sbagliato di non delegare: un’azienda funziona perché ognuno si occupa del suo campo di competenza, in concerto con gli altri
Una volta individuati i nuovi profili, si pone un’ulteriore sfida per il giovane imprenditore: esercitare la sua capacità di delega. In un Paese dove tutti cercano di demandare ad altri quello che devono fare, nel mondo delle start up succede l’esatto contrario: il fondatore è talmente legato alla sua creatura che non riesce a delegare, perché significa in qualche modo fare a meno di una parte di sé. La verità è che non c’è nulla di più sbagliato: un’azienda funziona perché ognuno si occupa del suo campo di competenza, in concerto con gli altri.
BISOGNA RIVOLGERSI ALL'ESTERNO. Ma a chi delegare? Si è fortunati se qualcuno del team originario ha dimostrato di informarsi, e di performare diventando un manager capace. Ma non capita sempre. Allora è necessario rivolgersi all’esterno. La voglia di affermarsi e competere sul piano dell’innovazione e dell’employer branding con altre realtà più strutturate e magari multinazionali, rende i profili professionali maturati all’interno di brand conosciuti molto appetibili.
UNIT DA COSTRUIRE O RAFFORZARE. La verità è che il brand attrattivo, il più delle volte, forma i professionisti che coordinano fornitori esterni o si occupano solo di parte di una funzione. In una start up, anche quella affermata, i manager all’inizio devono essere molto operativi e occuparsi di attività che non affrontavano magari da anni. In aziende in grande crescita le unit molte volte sono da costruire da zero o potenziare, ed è in grado di farlo chi effettivamente sa scaricare a terra le task da chiudere. Il differenziale non lo pone quindi il brand di origine, ma l’effettiva competenza maturata sul campo.
L'imprenditore deve imparare la differenza fra il comportarsi da amico con cui si lavora e il ruolo da amministratore delegato di un’azienda
Un altro punto che lo startupper dovrà affrontare è che, con l’introduzione di figure esterne al team, parte del nucleo originario perda lo slancio o addirittura l’interesse a far parte di una realtà che sta cambiando conformazione. Non solo: non è detto che i membri originali siano i migliori nel loro campo e si ritrovano a dover avere come referente un estraneo che, al contrario di loro, non ha partecipato all’affermarsi del progetto iniziale. Queste dinamiche risultano complesse, creano anche degli attriti e dei dispiaceri, non solo nei componenti del team, ma anche nel giovane imprenditore, che dovrà a quel punto imparare la differenza fra il comportarsi da amico con cui si lavora e il ruolo da amministratore delegato di un’azienda.
METODOLOGIE DI LAVORO DIFFERENTI. È difficile e complicato, ma anche questo fa parte del magico e confusionario mondo delle start up: è ciò che comporta una crescita. Per lo startupparo, che diventa un imprenditore; per il team originario che rimane, perché saprà confrontarsi con metodologie di lavoro differenti; per quello che sceglie di cambiare, perché conoscerà realtà lavorative completamente differenti; e per i manager che entrano nella start up, perché sapranno imparare a mettersi in discussione.
UNA SFIDA DA ABBRACCIARE. Si tratta di un modo di fare business dalle logiche e dalle velocità diverse dalle realtà più affermate e tradizionali. Si tratta di creare un mondo differente oggi, senza aspettare il futuro. È una sfida che bisogna abbracciare consapevolmente. Questo è quello che gli startuppari non dicono.