Perché il ricambio delle élite negli Usa con Trump è salutare

Intanto, ciò che vediamo da lontano è che ancora una volta la democrazia americana sa stupirci, sa cambiare se stessa e le pedine sullo scacchiere su cui gioca (anche Obama a ben pensarci era un gran cambiamento).

 Corrado Ocone, formiche.net. 21.11.2016

Viviamo immersi nell’attualità e non è facile farlo. Oggi soprattutto che le notizie ci arrivano in tempo reale. Eppure, bisogna farlo ogni tanto. Occorre cioè distanziarsi un po’ dagli eventi che viviamo, dal ruolo partigiano che in esso assumiamo quasi senza rendercene conto. Credo vada fatto anche per l’elezione che ha portato alla presidenza Donald Trump, che non è evento affatto secondario se si tiene bene in mente che da sempre quel che succede in America influenza in maniera decisiva questa parte di mondo, l”Occidente, e il mondo intero. E così sarà anche questa volta. Ma allungare la distanza significa mettere per un attimo tra parentesi le bizzarrie e la non convenzionalità del candidato, certe sue frasi ad effetto, la grossolanità di certi comportamenti che possono non piacerci ma che appartengono alla sfera dei gusti personali non a quella della politica.

Intanto, ciò che vediamoda lontano è che ancora una volta la democrazia americana sa stupirci, sa cambiare se stessa e le pedine sullo scacchiere su cui gioca (anche Obama a ben pensarci era un gran cambiamento). Cambiare pelle significa ovviamente anche un radicale cambiamento di classi dirigenti, il comparire di volti nuovi nella pubblica amministrazione e prima di tutto ai suoi vertici. Immersi nell’attualità, arriviamo a giudicare salutare o no ogni singolo cambiamento, a partire dalle nostre opinioni politiche. E a volte diamo persino un giudizio “morale” a priori sui candidati, prospettando scenari rosei o al contrario, come accade in questi giorni sulla stampa mainstream, inquietanti.

Molto spesso senza molte ragioni, soprattutto alla prova dei fatti. E se invece positivo fosse proprio il cambiamento in sé? Se fosse straordinario il fatto stesso che ogni gruppo di potere, con i suoi interessi e con le ideologie e le sue retoriche, dopo un tot numero di anni sia costretto a fare le valigie? Di solito, negli Stati Uniti questo cambiamento avviene ogni otto anni, quasi fosse programmato.

È come se l’elettore decidesse razionalmente che quattro anni sono insufficienti per portare avanti un programma e per giudicare un presidente e un partito, e desse sempre una seconda chance, ma poi, al secondo mandato, si stancasse o meglio evidenziasse tutti quei limiti che ogni azioni governativa, anche la più riuscita, sempre porta con sé.

Perché questa volta sarebbe dovuto avvenire il contrario, tanto più che i Clinton hanno tutta l’aria di essere una “casta” chiusa e autoreferenziale? Trump, come dice il professor Bassani, ha sconfitto insieme due “dinastie”: i Clinton e anche i Bush nel suo partito. Tanto di cappello!

E non interessa se lo abbia fatto intenzionalmente o no: dal punto di vista della storia, che è quello da cui ora stiamo osservando le cose, cambiamento è comunque il trionfo della democrazia, Per un semplice fatto: non contano tanto i contenuti e gli obiettivi specifici del potere, ma prima di tutto limitare il potere con altri poteri (vivere senza potere è possibile solo nelle utopie anarchiche).

“Il potere corrompe, ma il potere assoluto corrompe assolutamente”, diceva Lord Acton.

 Il cambiamento è il trionfo della democraziasia quando ci piace, ma anche anche quando ci dispiace. La democrazia è in questo senso, e solo in questo, sempre “progressista”. E questa volta  conservatori erano proprio i progressisti, e non sembri un gioco di parole. Questo cambiamento di immagini, di simboli, di classi dirigenti, che ogni quattro, anzi otto, anni l’America ci offre è impetuoso, travolgente, esorbitante. I suoi effetti si riversano, come dicevo, sul mondo intero come un’onda elettromagnetica. C’è stata l’età reaganiana, poi quella dei Clinton e dei Blair, poi Bush, poi la nuova spinta data al progressismo mondiale da Obama, ora la rivincita della destra. Una sana alternanza.

Ma questa, si dirà, è una destra pericolosa, inquietante, post-fattuale e cultrice della post-verità?

Ma perché, si potrebbe rispondere, è fattuale e veritiera la sinistra liberal e politicamente corretta che impone regole al pensiero ed esclude i diversamente pensanti in nome di “minoranze” che tali di fatto più non sono? Che sostituisce i “diritti” di gruppo alle libertà e responsabilità individuali? Sapete a che livelli di surrealismo è arrivata la parola pubblica americana, a che livello di condizionamento la libertà di espressione? Viviamo in un’epoca di iperboli e post-verità, a destra come a sinistra.

Certo, il rutto di Trump non è bello, ma siamo di fronte alla reazione a un disagio avvertito. E se la stampa e la TV era tutta o quasi contro Trump questo, fino a prova contraria, non attesta altro che il conformismo dell’opinione pubblica che denunciava come pericoloso già Tocqueville due secoli fa. Certo, ci sono nel programma di Trump, oltre a tanto colore e a varie esagerazioni verbali, due punti non chiari che potrebbero nuocere all’America: il protezionismo economico e l’isolazionismo nazionalistico che diventa a volte addirittura antiatlantismo. Giudicheremo il nuovo Presidente su questo. Il resto, anche se rimpiangiamo la vecchia sobrietà borghese, non è l’essenziale per chi guarda le cose da lontano.

Categoria Cultura

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