Raddoppia il numero di liceali all’estero
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II rapporto Ipsos sull’internazionalizzazione delle scuole: sempre più esperienze e sempre più lontane
11/10/2016 CAMILLA COLOMBO, La Stampa MILANO
Non soltanto Stati Uniti. Benvenute Asia e America Latina. I Paesi scelti dagli studenti liceali per trascorrere un periodo di studio all’estero sono sempre più lontani dall’Italia. A dirlo è l’ottavo rapporto sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, realizzato da Ipsos e presentato a Milano ieri durante la manifestazione «L’esperienza che mi ha cambiato la vita», organizzata da Fondazione Intercultura. I dati emersi dal report 2016 fotografano il cambiamento di interessi da parte dei giovani italiani.
«Fino a un decennio fa un ragazzo su due andava negli Stati Uniti. Ora uno su tre», spiega Nando Pagnoncelli illustrando i risultati di una ricerca che conferma la crescita costante del numero degli scambi scolastici. Nel 2015/2016 7400 alunni delle scuole superiori hanno trascorso almeno tre mesi all’estero, con un aumento dell’1 per cento rispetto all’anno precedente ma soprattutto con un più 111 per cento rispetto al 2009 quando i giovani in mobilità erano 3500. La modalità che viene preferita continua a essere quella annuale (+1 per cento), in calo quella semestrale (-6 per cento), mentre è in crescita quella trimestrale (+7 per cento). Per il 2016/2017 le mete più scelte dai giovani di Intercultura sono, oltre agli Stati Uniti, Irlanda (205 ragazzi), Argentina (114) e Cina (108) mentre per la prima volta una studentessa italiana trascorrerà un anno in Ghana.
Le scuole di partenza
La ricerca condotta da Ipsos testimonia la progressiva apertura delle scuole italiane, che nel 63 per cento dei casi hanno attivato un’iniziativa di tipo internazionale arrivando a toccare quota 42 punti su 100 nell’indice di internazionalizzazione scolastica (nel 2009 era 37). Rimane forte la differenza tra Nord e Sud Italia con il Nord Est a offrire più giovani studenti in mobilità mentre aumentano gli istituti del Sud che rinunciano ai programmi di scambio. I motivi sono la carenza di budget, lo scarso interesse dimostrato dagli alunni e l’inadeguatezza dei corsi svolti all’estero rispetto a quanto insegnato in Italia.
Il rientro è la difficoltà maggiore per gli studenti, perché spesso devono fare i conti con professori e istituti che non riconoscono il valore di quanto appreso in un Paese straniero. «Trovo deprimente la sfiducia verso i ragazzi che studiano da soli per un anno all’estero», commenta Susanna Mantovani, docente ordinario di Pedagogia generale e sociale all’Università Bicocca, a suo tempo studentessa in mobilità durante l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. «L’esperienza di vita del singolo deve diventare un patrimonio comune della scuola».
I vantaggi nel futuro
La novità del 2016 del rapporto Ipsos è stata una serie di interviste rivolte a 900 ex partecipanti a programmi di scambio effettuati tra il 1977 e il 2012 per valutare i benefici a lungo termine di un’esperienza all’estero. Una più alta percentuale di laureati (84 per cento contro la media italiana del 52 per cento), un più basso tasso di disoccupazione (9 per cento contro il 14 per cento, dato nazionale) e una maggiore sensazione di felicità sono stati i principali risultati emersi. In particolare, il 90 per cento degli intervistati si dichiara soddisfatto della propria vita contro un 67 per cento di media nazionale.
«Le cose che ho appreso durante il mio anno nello Stato di Washington sono state tre: indipendenza, curiosità e conoscenza della lingua», racconta Diego Piacentini, neo-nominato Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale del governo Renzi. Piacentini, che all’estero ha vissuto per anni ricoprendo ruoli di prestigio in Apple e Amazon, ha spiegato ai ragazzi presenti il valore del dare indietro quanto si è ricevuto, motivo per cui ha deciso di accettare la sfida di digitalizzare la pubblica amministrazione italiana, e di coltivare la pazienza contro il rischio di frustrazione che si prova una volta tornati a casa.
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