Chi sarà l’ultimo bambino a nascere in Italia?
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Un paese condannato all’estinzione, dove ci sono più bare che culle
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di Giulio Meotti | 20 Ottobre 2015 ore 17:08
"Chi sarà l’ultimo?". La domanda è di Casentino 2000, il periodico della valle più defilata della Toscana, una serie ininterrotta di foreste, eremi, monasteri, pievi, torri di guardia e scalinate di pietra che sembrano uscite da un disegno di Escher. Una valle incantata e isolata, difesa fin dal nome, che risale al latino Clusentinum, dal verbo “plaudere”, chiudere, che ne fa una sorta di anfiteatro delimitato dalle dorsali e dove hanno lasciato tante testimonianze Dante e San Francesco. Eppure, la crisi demografica sta devastando il Casentino, tanto che chiuderà l’unico punto nascita presente.
E’ una storia di copertina indicativa del generale collasso dell’Italia, il paese più moribondo d’Europa. Una gigantesca Gorreto, il villaggio ligure della Val Trebbia assurto alle cronache come il paese più vecchio d’Europa. L’Italia paese in via di estinzione e che ogni anno produce più morti che bambini. Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Scienze statistiche all’Università di Milano e uno dei massimi demografi del nostro paese, ci mostra numeri inesorabili. “Il mezzo milione di nascite nell’ultimo anno sono un record di minimo mai avuto prima nella storia del nostro paese”, dice Blangiardo al Foglio. “Neppure durante le guerre mondiali, o quando eravamo quasi la metà dell’attuale numero di abitanti, si era scesi così in basso. Nello stesso anno il saldo naturale (nati-morti) è stato negativo per quasi 100 mila unità. E questo nonostante il contributo netto della componente straniera (circa 75 mila nati a fronte di cinquemila morti) che, per altro, sta imparando in fretta: anche le nascite degli stranieri si sono ridotte negli ultimi due anni, erano arrivate a 80 mila ma sono già a 75 mila. Un paese che non riesce a produrre capitale umano e a rinnovarsi attraverso il ricambio generazionale non riesce neppure a costruire il proprio futuro”.
Secondo dati Eurostat, l’Italia introdurrà fino a 400 mila immigrati ogni anno almeno fino al 2040, portando a un terzo dell’intera popolazione italiana il numero dei cittadini stranieri o di origine straniera. Blangiardo non crede all’idea di sopperire al collasso demografico tramite l’immigrazione.
“‘Importare’ popolazione da altri paesi e culture è una possibile soluzione, ma significa accettare un cambiamento, lento ma inevitabile, della propria identità. Pur senza drammatizzare, il rischio è di dover accettare profonde trasformazioni sul piano della cultura e dei valori. Non si può dire quanto l’azione d’integrazione e assimilazione di chi arriva da altrove potrà funzionare. Certo è che l’inevitabile ammissione di grandi masse di popolazione con una cultura diversa non potrà non segnare profondi cambiamenti in società che faticano a difendere la loro cultura. Oggi a scuola basta un bambino musulmano per legittimare l’abolizione del presepe”.
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Secondo il demografo, una “popolazione stazionaria” può esistere soltanto per un periodo brevissimo, perché, quando ci si mette su questa strada i morti tendono sempre più a crescere e i nati a calare. Il professor Gian Carlo Blangiardo invita a segnarsi una data, il 2031, quando in Italia il numero degli adulti single (8,7 milioni) supererà il numero delle famiglie. E’ saltato da tempo quello che Blangiardo definisce “ricambio generazionale”: “Non torna più dal lontano 1977. Sullo sfondo, in una società in cui la vita si allunga continuamente e la salute tiene fino a tarda età, c’è l’illusione di una ‘quasi immortalità’ e allora non è più necessario affidare ai figli la propria perpetuazione. Magari è una sensazione inconscia, ma in questo mondo di ‘sempre figli’ a quarant’anni, gli equilibri che tenevano in piedi i meccanismi del ciclo della vita sono tutti saltati”.
Quando è iniziato questo declino? Nel Sessantotto. “I fattori sono molteplici. Si va da aspetti ‘tecnici’ dopo un baby boom, come era accaduto nei primi anni Sessanta, c’è sempre una fase di stasi, fino a mutamenti culturali che spostano i tempi della vita, soprattutto per i giovani. L’età al matrimonio, quando c’è, si è spostata in avanti, le conoscenze in tema di contraccezione si sono ampliate al pari dell’efficacia delle tecniche. Alcune norme, la 194 sull’aborto, hanno contribuito ad accreditare un clima di scelte individualistiche che non andavano certo nella direzione della natalità. E poi c’è la percezione crescente di una mancanza di sostegni e gratificazioni da parte della società nell’essere genitori. Io sono nato in una cittadina che aveva scuole di tutti i livelli e un’offerta diversificata, aveva una stazione importante, era sede degli uffici dell’allora Sip. Aveva un ospedale importante. Oggi è rimasto soltanto il liceo e l’istituto tecnico. Tutto il resto è scomparso”.
Come sarà l’Italia fra mezzo secolo? “Avrà ancora sessanta milioni di persone, di cui dieci, quindici milioni con un background da immigrato, avrà meno nipoti che nonni e meno pronipoti che bisnonni. Avrà oltre un milione di abitanti con oltre novantacinque anni”. E’ mai esistito un precedente nella storia della civiltà? “A quanto è stato possibile ricostruire, l’Impero Romano è crollato per la stessa debolezza demografica”. Lo studioso della Sorbona, Pierre Chaunu, analizzò il crollo demografico del tardo Impero, il passaggio dai 55 milioni di abitanti dell’epoca augustea a 25 milioni. E ci scrisse sopra un libro formidabile: “Un futur sans avenir”.
Il presente italiano in cui ci sono più bare che culle.
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