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Dal Darfur a Isis e migranti, è sempre colpa dei cambiamenti climatici. Qualche dubbio
di Piero Vietti | 23 Settembre 2015 ore 06:30
Qualche anno fa girava in rete un video molto istruttivo su tutto ciò che, secondo gli esperti, il riscaldamento globale (all’epoca si chiamava ancora così, perché effettivamente le temperature un po’ stavano aumentando; il più furbo “cambiamenti climatici” è venuto dopo) avrebbe causato nel prossimo futuro: si andava dall’aumento delle dimensioni dei volatili a quelle del seno delle donne. Il video dimostrava l’assurdità di annunci spacciati come scientifici ma volti spesso a ingrossare il fiume del catastrofismo climatico sempre più in voga da oltre un decennio a questa parte. Nella vulgata comune, però, il clima – che dopo essere cambiato per milioni di anni di colpo cambia per colpa dell’uomo (questo è il punto, la colpa di noi tutti) – è poi diventato la causa di tragedie ben più gravi dei petti femminili oversize: nel 2007 il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon disse che il conflitto nel Darfur era causato dai cambiamenti climatici. Conclusioni simili sarebbero state fatte su altri conflitti locali più o meno in tutto il mondo, fino alla tesi recente per cui lo Stato islamico sarebbe un prodotto indiretto del global warming (lo ha detto un candidato democratico alle presidenziali, Martin O’Malley).
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Da tempo le varie agenzie delle Nazioni Unite lanciano l’allarme sui cosiddetti migranti climatici che, secondo le previsioni, già avrebbero dovuto lasciare i loro paesi di origine a causa dell’insostenibilità climatica. Al momento di migranti dal sud verso il nord ce ne sono molti, in effetti, ma neppure i più arditi catastrofisti sono riusciti a trovare collegamenti fattuali tra la loro tragedia personale e il caldo che avanza (o le piogge che aumentano). Un recente studio di alcuni ricercatori delle Università del Lussemburgo e di Nottingham (segnalato in Italia dal sito climatemonitor.it) ha analizzato “i fattori ambientali come potenziali determinanti per la migrazione internazionale”. Il risultato della ricerca, effettuata è che negli ultimi quarant’anni “non si trova alcun impatto diretto di cambiamenti climatici sulle migrazioni internazionali nel medio e lungo periodo per l’intero campione”.
Ma probabilmente la catastrofe deve ancora avvenire, a dispetto delle previsioni. E non sarebbe una catastrofe qualsiasi, stando all’ultimo saggio di Timothy Snyder, “Terra nera - L’Olocausto fra storia e presente”, appena uscito in Italia per Rizzoli. Il rinomato storico americano ricostruisce le cause che portarono allo sterminio degli ebrei nello smantellamento degli stati e nel cosiddetto “panico ecologico” che Hitler diffuse nella popolazione. Partendo dall’idea che il pianeta si può cambiare, il Führer individuò negli ebrei il “difetto ecologico” che impediva al mondo di essere in equilibrio, e facendo leva sulla paura per un futuro di carestie, trovò semplice giustificare agli occhi dei tedeschi la necessità di ripulire la Terra dai “giudei”. Traendo le conclusioni sul presente, e smettendo i panni di storico, Snyder trova analogie tra quel panico ecologico e l’attuale paura per i cambiamenti climatici, arrivando a sostenere che se questi non verranno fermati permetteranno a un nuovo Hitler (la Cina, la Russia?) di compiere nuovi genocidi con la scusa di sfamare il proprio popolo. Tesi ardita, che soffre di un difetto fondamentale: dà per scontati, se non già avvenuti, sconvolgimenti climatici al momento solo previsti come possibili da modelli matematici. Ma ribadisce una lezione fondamentale: in nome dell’ecologia si arrivano a giustificare anche i crimini più orrendi.
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