Il vero scandalo Xylella riguarda la giustizia, non gli olivi
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Interrogatori, perquisizioni, sequestri. Denuncia della gogna mediatico-giudiziaria a danno della scienza
Ulivi oclpiti dalla Xylella
di Giovanni Paolo Martelli | 14 Maggio 2015 ore 16:15
Nel Salento esiste un’emergenza olivi: l’emergenza Xylella. Parliamo di Xylella fastidiosa, un batterio patogeno da quarantena, che si ritiene essere giunto nel territorio dell’Unione europea con piante ornamentali provenienti dal Costa Rica. Questo è quello che ci dicono i riscontri scientifici. La Xyella ha una spiccatissima tendenza a uccidere le piante, come ben sanno nelle Americhe dove studiano il problema da oltre 130 anni senza purtroppo essere ancora riusciti a trovare un rimedio. Da noi la Xylella è all’origine del disseccamento degli olivi: il batterio viene introdotto da insetti vettori nei vasi legnosi degli ospiti su cui si nutre e nei vasi si moltiplica, occludendoli. La pianta non riesce più ad approvvigionarsi di acqua e, in pratica, muore di sete. Nonostante le difficoltà ad affrontare un patogeno del genere, nell’Università di Bari, insieme ai ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), si è riusciti con poche risorse a riconoscere il batterio, a farne la caratterizzazione genetica e a individuare in una cicalina nota come “sputacchina” il vettore che propaga l’infezione sia all’olivo sia ad altri ospiti. Tutto questo in tempi rapidissimi. Non è stato un lavoro semplice, perché parliamo di un patogeno che non era presente nel nostro territorio e che dagli scopritori statunitensi è stato definito “fastidiosa” proprio per le sue caratteristiche anomale e la difficoltà del suo isolamento in coltura. Purtroppo la bibliografia scientifica internazionale ci dice che Xylella, una volta entrata in un ambiente favorevole al suo insediamento, vi rimane per sempre. L’esperienza più significativa è quella della California dove questo patogeno colpisce anche la vite e dove, da più di un secolo, si tenta disperatamente di curare la malattia da esso indotta (“Pierce’s disease”) senza risultati significativi.
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E’ ormai da accettare l’idea che la Xylella sia nel Salento per restarci. Ma qualcosa si può e si deve fare. Il Commissario governativo per l’emergenza, Giuseppe Silletti, ha predisposto un piano che ha lo scopo di contenere la Xylella entro l’area contaminata e impedire che il contagio si diffonda nelle regioni vicine e poi nel resto d’Italia e, perchè no, in Europa, cosa che peraltro ci chiede espressamente di fare l’Unione Europea. Non è detto che ci si riesca ma, se così fosse, sarebbe un risultato eccellente. Fermato il contagio ci si potrà dedicare con maggiore tranquillità a sperimentazioni e ricerche già programmate da condurre nella zona infetta per trovare possibili cure. Questi sono i fatti.
Oltre all’epidemia batterica c’è però un’altra emergenza, questa volta di tipo mediatico-giudiziario, che sta procurando inconvenienti di non poco conto, non alle piante ma alla ricerca e a chi lavora per trovare soluzioni. Questo è un paese in cui quando è in ballo la nazionale di calcio tutti si scoprono commissari tecnici e pare che, dopo l’arrivo di Xylella, gli allenatori si siano trasformati in “xylellologi” e guaritori che, con le idee più estemporanee e senza basi scientifiche, ritengono di aver elaborato in poche settimane la ricetta miracolosa che il mondo non trova da più di un secolo. Anche questo c’era da aspettarselo. Siamo o no il paese che si è compiaciuto di parlare per mesi, anche ai massimi livelli istituzionali, del metodo Stamina e prima ancora del metodo Di Bella? Poteva non accadere in campo vegetale quanto è successo in medicina? Ma ciò che è ancora più preoccupante, ed è singolare in questa vicenda, è la caccia all’untore che si sta scatenando sulla base di accuse totalmente prive di fondamento scientifico, che però trovano considerazione da parte della magistratura. Infatti, il teorema confezionato da sedicenti “movimenti ambientalisti” propone che la Xylella sia stata introdotta in occasione di un corso di aggiornamento organizzato nel 2010 da batteriologi internazionali presso l’Istituto agronomico mediterraneo (Iam) di Bari dai cui laboratori sarebbe sfuggita, avrebbe poi compiuto un balzo, non si sa bene come, di 250 chilometri ed sarebbe comparsa in Salento sotto forma di una sottospecie (X. fastidiosa pauca), diversa per caratteristiche genetiche e patogenesi da quella (X. fastidiosa fastidiosa) utilizzata nel corso di cui sopra. Secondo questo ingegnoso teorema, lo Iam, un Istituto internazionale intergovernativo e che ha laboratori autorizzati a gestire in sicurezza materiale da quarantena, ha la colpa di essere l’untore quale importatore della Xylella e i ricercatori dell’Università di Bari e del Cnr di essere stati a conoscenza della fuga del batterio, di avere taciuto e atteso che l’epidemia si diffondesse per avere un ruolo da protagonisti nell’emergenza.
I computer sequestrati
Questo è il frutto di elucubrazioni dietrologiche che non hanno attinenza con la realtà e sono in piena contraddizione con la logica e con la scienza, ma che sono state sufficienti a fare muovere la magistratura che ha aperto un’indagine per “diffusione di malattia delle piante” (Articolo 500 del Codice penale). L’indagine è in pieno sviluppo e coloro che ne sono oggetto (docenti universitari e ricercatori del Cnr) la vivono con disagio. Non è piacevole essere nel mirino degli inquirenti pur non essendo formalmente indagati, subire interrogatori ed assistere (4 maggio) alla requisizione o all’accecamento per asportazione degli “hard disks” di molti (16 o giù di lì) dei nostri computer a caccia probabilmente di una qualche prova di colpevolezza.
Ma più della nostra situazione personale, ciò che è rilevante per l’opinione pubblica è che quest’indagine di fatto accusa della diffusione della Xylella e dei guai che ne derivano proprio chi l’ha individuata, studiata e che, con grandi sforzi, sta cercando di bloccarla e combatterla. Oltre a essere un monumento all’incongruenza, tutto ciò lo denunciamo come un palese attacco alla ricerca e al metodo scientifico sulla base di dietrologie, pregiudizi e superstizioni. Si tratta di una mentalità mai scomparsa dal nostro felice paese, anzi sorprendentemente viva. Per questo è forse il caso che la comunità scientifica faccia sentire la propria voce e difenda le ragioni della sua stessa esistenza. Proprio questo giornale ha paragonato le teorie e l’indagine nata attorno all’emergenza Xylella a ciò che è accaduto nella Storia della colonna infame nella Milano colpita dalla peste raccontata da Manzoni. Per certi versi le vicende e le dinamiche sono simili, ma vorrei credere che quattro secoli non siano trascorsi invano e che la società italiana abbia gli anticorpi per reagire alle cacce agli untori. In ogni caso i miei colleghi e io, nonostante i tentativi di delegittimazione e il disagio con cui questa vicenda viene vissuta, continueremo a operare contro la Xylella al meglio delle nostre possibilità. Come è stata, è e sarà nostra consuetudine.
Giovanni Paolo Martelli è Professore Emerito di Patologia Vegetale all’Università Aldo Moro di Bari
Cat: Ambiente