Quando gli OGM li fa la natura. I tanto vituperati OGM non sono un’invenzione
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umana. Il trasferimento orizzontale di geni è più diffuso di quanto pensiamo, almeno nel regno animale
Daniele Paulis — Pikaia Tratto da "Pikaia. Il portale dell'evoluzione"
Mario Tama/GettyImages
Linkiesta 2/05/2015
Non era una completa novità: già da diversi anni si sapeva che alcuni organismi animali ospitano nel loro genoma geni ottenuti per trasferimento orizzontale. Al contrario del trasferimento verticale, in cui i geni degli individui sono ereditati dai propri avi, ed è proprio di tutte le forme di vita, in quello orizzontale alcuni individui acquisiscono geni propri di altre specie che fino a quel momento non facevano parte del genoma di quella ricevente.
Nei procarioti, che non si riproducono in modo sessuato, l’integrazione di geni estranei nel proprio genoma è la fonte principale di diversità su cui la selezione naturale (o artificiale) lavora, permettendo la straordinaria adattabilità propria di questi organismi. Il fenomeno era già noto dal lontano 1928 e proprio tramite esso si è potuto dimostrare che era il DNA la sede fisica su cui sono “scritti” i geni.
Da qualche anno casi di trasferimento sono stati rilevati, in numero sempre maggiore, negli eucarioti e in particolare nel regno animale. I casi descritti finora, forse riflettendo in parte qualche pregiudizio dei ricercatori; riguardano però spesso alcune categorie particolari: specie che si riproducono raramente (o mai) in modo sessuale, specie soggette a vari tipi di stress ambientali (che determinano frequenti rotture del DNA), o dotate di peculiari batteri simbionti che sono la fonte dei geni stranieri. Anche se non sono mancati indizi relativi a passaggi di geni nei vertebrati, o specificamente negli esseri umani, fino ad oggi essi sono stati spesso liquidati come falsi positivi.
Un confronto più ampio
Per cercare di stabilire in maniera meno aneddotica la diffusione del fenomeno nel regno animale, Alastair Crisp e colleghi, della University of Cambridge (UK), hanno esaminato le sequenze dei trascrittomi completi (l’insieme degli RNA trascritti) di 10 specie di vertebrati, tutti appartenenti all’ordine dei primati (compresi gli esseri umani), 14 specie di ditteri (phylum Arthropoda) e 4 di nematodi, nonché i trascrittomi parziali di altre 14 specie di primati. Le sequenze sono poi state confrontate con una vasta banca dati di proteine proprie di tutto gli esseri viventi. La logica della ricerca era includere più di un phylum, e in ogni phylum includere più specie, in modo da escludere con una buona probabilità tanto i falsi positivi che negativi. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista ad accesso libero Genome Biology. Secondo gli algoritmi di ricerca utilizzati, il lavoro dimostra che in ogni specie esaminata sono presenti da decine a centinaia di geni derivati, con alta probabilità, da eventi di trasferimento orizzontale. La maggior parte di questi geni, quando la loro funzione è nota, dirigono la sintesi di enzimi implicati in varie funzioni metaboliche.
Non solo batteri
Una delle maggiori sorprese ottenute dai confronti di sequenze per i probabili geni “stranieri”, riguarda il fatto che le possibili specie donatrici di geni al regno animale non sono solo batteri, ma anche virus, protisti e funghi. In particolare un gruppo di geni propri dei vertebrati (compreso Homo sapiens), i geni ialuronano sintasi, erano stati sospettati in passato di derivare da un evento di trasferimento orizzontale. L’ipotesi era stata in seguito rigettata, dal momento che nessun trascritto batterico presentava una sequenza sufficientemente simile da poterlo identificare come prodotto del gene originariamente “donato” ai vertebrati. La ricerca di Crisp e colleghi ha in effetti dimostrato che il gruppo di geni, pur derivando da un passaggio tra specie non imparentate, non deriva da un gene batterico, visto che il donatore originale è con ogni probabilità un fungo.
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Non solo oggi
Includendo o escludendo le specie contenute nello stesso phylum gli autori hanno potuto determinare come molti geni identificati come “stranieri” fossero presenti più volte per produrre proteine simili, ma non identiche nella stessa specie, come frutto di eventi di duplicazione (cioè paraloghi). Oppure leggermente diversi in specie dello stesso phylum, come frutto di percorsi evolutivi divergenti (cioè ortologhi). La spiegazione è che l’antenato comune delle specie che condividono questi geni, abbia ricevuto in un lontano passato un gene per trasferito orizzontalmente. In seguito, nelle specie sue discendenti, anche i geni estranei si sarebbero evoluti per mutazione e selezione come quelli nativi, portando alle loro versioni attuali. Basandosi sul grado di divergenza dei geni estranei, sulla filogenesi delle specie portatrici e sulla presenza di introni nei geni non nativi, gli autori hanno messo a punto una sorta di orologio in grado di determinare il momento presunto di passaggio orizzontale dei geni estranei. Mentre il passaggio di geni ai nematodi e agli insetti sembra essere proseguito fino a tempi recenti, e quasi sicuramente potrà accadere ancora, gli eventi di trasferimento ai primati sembrano essersi bloccati in un qualche momento indeterminato fra l’antenato comune del phylum e quello proprio di tutti i vertebrati.
Economia naturale
Dai risultati di questa nuova ricerca emerge ancora una volta come la selezione naturale adatti quanto c’è già piuttosto che creare qualcosa di nuovo. In effetti, visto a posteriori, sembra destinato a un maggiore successo il tentativo di “adattare” un gene che ha già funzionato, seppure in una specie e in un ambiente differenti, piuttosto che inventarne da zero uno nuovo per tentativi ed errori. Anche se va sempre ricordato che nell’evoluzione non c’è alcuna intenzionalità. Per i ricercatori invece la lezione è di non essere frettolosi a bollare come contaminazioni i geni che emergono nell’analisi dei genomi animali.
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Riferimenti:
Crisp A, Boschetti C, Perry M, Tunnacliffe A, Micklem G.
Expression of multiple horizontally acquired genes is a hallmark of both vertebrate and invertebrate genomes.
Genome Biol. 2015 Mar 13;16(1):50. doi: 10.1186/s13059-015-0607-3
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