Quando si vendemmiava in passato? Il racconto dell’enologo e sommelier Giuseppe Liessi
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L’estate è ormai finita e l’autunno è da poche ore iniziato, con l‘equinozio, il passaggio astronomico a partire dal quale le giornate iniziano ad accorciarsi sempre di più, fino al solstizio d’inverno.
23.9.2023 ARIANNA CESCHIN, QDPNews.it lettura3’
Una data e un passaggio che variano di anno in anno, anche se, come è oramai evidente, “non esistono più le stagioni di una volta”, come si sente spesso ripetere. E la prova sono le temperature di quest’anno, con quel calore estivo prolungato, in un periodo in cui di norma si iniziava a sentire un po’ di fresco.
Giuseppe Liessi – video a cura di Arianna Ceschin
Tutto ciò come ha influito sulla vendemmia? Un tempo qual era il periodo in cui ci si recava tra i filari? A rispondere a queste domande è stato Giuseppe Liessi, enologo e proprietario dell’omonima cantina di Refrontolo (con il marchio “Col del Moìn), sommelier dell’Ais (Associazione italiana sommelier), nonché appassionato storico e studioso delle tradizioni della viticoltura territoriale.
Tradizioni che, spesso e volentieri, Liessi ha avuto modo di raccontare in varie serate di divulgazione. “Il periodo della vendemmia è il fenomeno che si è chiaramente modificato nel tempo”, è la premessa fatta dall’enologo di Refrontolo.
“Oggi si vendemmia un mese prima rispetto a quanto avveniva una volta: è una percezione che abbiamo tutti. Abbiamo iniziato a vedere un anticipo della vendemmia sul finire degli anni ottanta – ha spiegato – Un tempo si iniziava dopo la metà di ottobre: ciò avveniva quando ero alla scuola elementare ed è stato così per molto tempo”.
“Mio padre mi raccontò che, il 14 ottobre 1944, sentì gli spari dell’eccidio dei conti Agosti, un fatto avvenuto a qualche centinaio di metri da qui, in una casa colonica – ha raccontato – Raccontava spesso questa storia e si ricordava cosa stava facendo in quel momento, all’età di sei anni: stava aiutando mio nonno a pulire i recipienti della vendemmia, a preparare i tini e le botti”.
“Tutto ciò fa capire come iniziassero a pensare alla vendemmia solo il 14 ottobre, prima non si ponevano neppure il problema – ha aggiunto – Adesso, in quel periodo, abbiamo già ottenuto il prodotto. Quest’anno la vendemmia ha avuto un notevole ritardo rispetto agli ultimi anni”.
“L’aspetto della data della vendemmia è interessante, perché possiamo ricostruirlo nei secoli – ha fatto sapere – Nel Medioevo, le autorità locali e comunali dei diversi periodi si sono preoccupate di stabilire i bandi della vendemmia: quindi oggi noi possiamo ricostruire le serie storiche, a partire da parecchi secoli fa. Anche in Borgogna, ad esempio, riescono a farlo, a partire dal Trecento”.
Un cambio di periodo che ha condizionato anche alcune abitudini diffuse tra i viticoltori. “I viticoltori hanno rinunciato a prepararsi il vino in casa per il loro uso personale – ha osservato – Era uso comune, fino a non molti anni fa, che la piccola azienda che vendeva l’uva, tenesse per sé un piccolo quantitativo. Ora, per aspetti igienico-sanitari, la cosa è diventata ingestibile in una cantina dove non ci sia un minimo di tecnologia”.
E come ha influito il cambiamento climatico sui prodotti? “Il cambiamento climatico c’è ed è evidente anche nelle piccole cose – è la prima risposta che ha fornito – Ha influenzato proprio la vite, tra le prime colture. Nell’ultimo trentennio la situazione si è modificata radicalmente e questo comporta inevitabilmente degli effetti sul prodotto: minore acidità, maggiore concentrazione zuccherina, effetti sui polifenoli, variazioni sul quadro aromatico dei prodotti”.
“In sostanza, tutto questo porta al rischio di produrre vini più alcolici, più standardizzati e più omologati – ha spiegato l’enologo – La vite è tutto sommato una pianta versatile, che si adatta e cresce in un range di latitudine molto ampio, mostrando una buona capacità di adattamento a situazioni climaticamente mutate. Bisogna riconoscere che, nel nostro territorio, la varietà si è adattata abbastanza bene al cambiamento climatico”.
Liessi ha infatti evidenziato che, nonostante il caldo, abbiamo sempre bevuto vini di buona qualità. “Se la situazione prosegue, in un primo momento dovremo ricorrere a un’irrigazione sempre più importante – ha affermato – Poi dovremo recuperare vecchie varietà che erano state abbandonate, perché ritenute troppo tardive: questo aspetto ora potrebbe tornarci utile”.
Uno sguardo al presente, per ricordare il passato e, soprattutto, per guardare al futuro, è il messaggio che emerge dal racconto di Giuseppe Liessi: “Non è solo un fatto di economia viticola, ma è una questione di storia, di tradizioni, di consuetudini che devono essere valorizzate”, ha concluso.