Glasgow non è un giardino d'infanzia
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Fuori da Cop26 è andata in scena la fotografia del contropotere di Greta. Da lì partono le domande. Ma le risposte non vanno cercate "tra i ragazzi",
MAURIZIO CRIPPA 06 NOV 2021 ilfoglio.it
Fuori da Cop26 è andata in scena la fotografia del contropotere di Greta. Da lì partono le domande. Ma le risposte non vanno cercate "tra i ragazzi", come fanno i media per pura piaggeria, e infatti non se ne sono trovate. Le risposte devono darle la scienza, l'economia, la finanza
Greta Thunberg può essere la salvatrice del pianeta o risultare simpatica come una boccata di CO2, non è il punto. Ieri, in un parco di Glasgow, ha radunato quindicimila giovani (e forse altrettanti giornalisti, trasognanti nostalgia per le belle rivoluzioni che furono). Il suo Friday è apparso con evidenza l’esibizione di un contropotere: una sfida ai “grandi” riuniti là dentro per “il festival del greenwashing”.
Il ruolo svolto da Greta Thunberg – ma ormai le giovani leader della protesta climatica si sono moltiplicate e vengono da ogni parte del mondo: la macchina mediatica divora le novità – per mettere il clima al centro del dibattito mondiale è innegabile. Filippo Sensi ha scritto un tweet: “Dite quello che vi pare della ragazza, ma per quello che sta facendo sul clima e l’ambiente fate mejo figura a dirle solo: grazie”. Ineccepibile. Il punto è però guardare la fotografia del trionfo di Glasgow dal lato giusto. Che non è quello instagrammato e photoshoppante offerto dai media. Rep. apriva la sua gallery con due sorridenti ragazze con la mascherina, ognuna con cartello di disarmata e adolescenziale stupidera: “Non lasciate che il mondo diventi hot come Johhny Depp” (e qui affiora forte il sospetto che i cartelli li abbiano scritti le loro mamme). Il punto è lo step successivo. In questi giorni Cop26 – tra contraddizioni e ipocrisi – sta provando ad affrontare esattamente i temi posti dai Friday for future. Solo che i media hanno passato più tempo a intervistare “i ragazzi” che a spiegare i fatti. Quelli venuti in bicicletta per non inquinare, quelli che dormono sotto la tenda per non cementificare. Servizi “di colore”. Non è questione di stile giornalistico o politico (la politica fin troppo disponibile alle moine, a parte qualche leader vero), ma di concetto. E’ sacrosanto ascoltare i compagni di Greta e persino certi ultimatum troppo simili ad astratti furori. Ma poi le risposte vanno chieste ad altri. Ai politici e decisori globali. E soprattutto alla scienza, alla finanza, all’industria. Greta dice che “la Cop sarà un fallimento”.
Eppure, la Glasgow financial alliance for net zero ha promesso centomila miliardi per sostenere la transizione, con l’adesione di 450 società da 45 paesi. Gli accordi sul carbone sono stati vanificati dalle scelte della Cina (e degli Stati Uniti), eppure oltre 90 paesi hanno deciso di ridurre le emissioni di metano. E lo stop alla deforestazione è stato firmato dall’85 per cento dei paesi partecipanti, compreso il Brasile. La rivoluzione green nasce prima di Greta. Basta ricordare il il Business Roundtable del 2019 in cui la grande finanza e industria americana dichiararono che era venuto il tempo di una grande svolta sostenibile, accompagnata da una riconversione industriale e energetica. Un indirizzo che, però, non aveva un grande appeal. I Friday for future hanno fornito il detonatore, coniugando l’allarme ambientale al cambio di paradigma economico. Ma i media se ne stanno furbamente a lisciare i ragazzi, anche se non hanno risposte da dare. In piazza ieri c’erano anche cartelli con scritto “Socialist change to end climate change”, in mano ad adolescenti che probabilmente non hanno mai sentito nominare Chernobyl. Buona parte di loro si ispira a reti come Extinction Rebellion, che sogna di bloccare l’approvvigionamento di materie prime. Tra loro c’è probabilmente chi pensa che non si debbano fare figli perché inquinano. Così, è il loro “blabla” a essere inutile. L’ambientalismo non è un giardino d’infanzia.