Il fallimento degli euroburocrati sul clima

Ed eccoci al 2020: buon anno. Oltre dieci anni fa l’Unione europea s’impegnò col pacchetto 20-20-20.

di Franco Battaglia11.1.2020 nicolaporro.it –lettura2’

Ed eccoci al 2020: buon anno. Oltre dieci anni fa l’Unione europea s’impegnò col pacchetto 20-20-20. Il primo 20 significava ridurre le emissioni di gas serra al livello di 20% al di sotto delle emissioni del 1990. Il secondo 20 significava portare al 20% il contributo delle energie rinnovabili ai consumi d’energia primaria e il terzo 20 significava aumentare del 20% l’efficienza energetica, qualunque cosa ciò significhi, ammesso che significhi qualcosa. Il tutto da realizzarsi entro il 2020: a Bruxelles, come a tutti noi, piacciono le rime più dell’aritmetica.

Nel 2008 scrivevo che quei propositi non sarebbero stati raggiunti e che il solo tentativo di implementarli sarebbe stato doloroso oltre che inutile. Sono stati raggiunti? Boh, fate voi. Nel 1990 i consumi d’energia primaria da carbone, petrolio e gas di quella che è oggi la Ue a 28 membri ammontavano a circa 950 Gtoe (miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio), incluso il contributo elettrico dalle fonti fossili. Lo scorso anno quel valore 950 è sceso a 870. Le emissioni effettive di CO2 sono state ridotte del 9% appena. Primo obiettivo: cilecca. Quanto al secondo obiettivo, su circa 1200 Gtoe di consumi totali, meno di 100 Gtoe sono da attribuire alle rinnovabili, cioè meno del 9%. Secondo obiettivo: cilecca.

La tecnologia rinnovabile tradizionale, quella che funziona, è l’idroelettrico, che però, rispetto al 1990, è rimasta praticamente immutata. Allora, nella crescita delle rinnovabili, sono stati eolico e fotovoltaico ad aver avuto la parte del leone, un’espressione metaforica che rischia di suonare una canzonatura alle permalosissime orecchie dei Verdi. Infatti, come l’idroelettrico, anche eolico e fotovoltaico contribuiscono alla produzione elettrica, e se ci si chiede chi vi contribuisce di più, la risposta per la Ue è: nucleare al primo posto, carbone al secondo posto, e gas al terzo posto. Queste tre fonti e l’idroelettrico coprono i 3/4 dei consumi elettrici degli europei. Il fotovoltaico contribuisce per il 3%.

Il terzo obiettivo, quello dell’aumento del 20% in efficienza energetica, è fumoso (come la filosofia che sta dietro l’intero pacchetto 20-20-20 e come molte altre paturnie di Bruxelles): non si capisce neanche come misurarla. In ogni caso, bisogna essere consapevoli che è un grossolano errore accoppiare propositi di aumento d’efficienza energetica e di diminuzione dei consumi d’energia, come faceva la presidente dei Verdi in Europa, Monica Frassoni, mentre dibatteva con me da Lili Gruber lo scorso 28 settembre. Aumentare l’efficienza è sicuramente un’ottima cosa, ma è un fatto che ad una maggiore efficienza seguono maggiori consumi. Ciò vale per qualunque bene: disponiamo, oggi, di un efficientissimo sistema postale (la email), e tutti riceviamo e spediamo oggi molte più lettere di ieri. E non appena i nostri frigoriferi sono diventati efficientissimi, subito ci abbiamo messo accanto il congelatore. E ci sarebbero molte meno vetture in circolazione se le auto d’oggi avessero la stessa efficienza di quelle di un secolo fa.

In conclusione, il pacchetto energia 20-20-20 è stato, come facilmente prevedibile, un sonoro fallimento. Ma è stata almeno utile la riduzione europea del 9% delle emissioni di CO2? Di nuovo, decidete da soli: quelle globali erano di 20 Gt (gigatonnellate) nel 1990 e furono 33 Gt lo scorso anno, con un aumento del 60%. Ma l’Ue, imperturbabile, insiste: dobbiamo ridurre le nostre emissioni del 50% entro il 2030 e del 100% entro il 2050, dicono i burocrati di Bruxelles. Ma faranno cilecca di nuovo. Una colossale – dolorosissima per noi – cilecca. Fate un nodo al fazzoletto e rileggete fra dieci anni.

Franco Battaglia, 10 gennaio

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