Cosa sarebbe successo a Venezia se il Mose avesse funzionato
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Per Luigi D’Alpaos, massima autorità nell'ingegneria idraulica, "non ci sarebbero stati a Venezia gli allagamenti che abbiamo invece avuto. Ma la struttura è malpensata"
15 novembre 2019 di Alberto Ferrigolo www.agi.it
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Il punto vero del disastro dell’altra sera a Venezia è che le previsioni di marea davano un livello di 190 centimetri a Chioggia con un vento che spirava forte da Nord verso Sud. Vento di tramontana. Poi, invece, il vento è improvvisamente “girato” da Sud verso Nord, diventando di scirocco e ha sospinto la marea prevista a Chioggia verso Venezia, con una velocità e un’irruenza mai viste. Si poteva fare qualcosa? E se il mitico Mose, fosse stato in funzione, avrebbe risparmiato l’ultima “apocalisse” su Venezia?
“La sua osservazione è esatta e io le rispondo però che nei giorni scorsi il cambiamento del vento sulla laguna, a Mose funzionante, sarebbe stato un imprevisto rispetto alla previsione. E perciò come sempre accade, la previsione non garantisce sull’esito della previsione stessa... Però va anche detto che in questo caso se, per ipotesi, avessero chiuso le paratie del Mose i danni che poi si sono registrati non ci sarebbero stati:
Chi parla è Luigi D’Alpaos, professore emerito dell’Icea, acronimo di Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università degli studi di Padova, la massima autorità in materia di ingegneria idraulica, da diversi anni autore di molti studi, ricerche e pubblicazioni sulla laguna di Venezia. Al quale abbiamo chiesto di simulare per Agi, come se si trattasse di un caso di scuola, il funzionamento del Mose di fronte ad un’emergenza come quella che si è verificata a Venezia 48 ore fa.
Professore, quand’è che il Mose avrebbe dovuto entrare in funzione, nel caso specifico?
Se fosse stato attivo il Mose avrebbe dovuto entrare in funzione non appena l’altezza di marea prevista avesse superato i 110 cm sullo zero mareografico di punta della Salute.
Entra in funzione automaticamente?
No, c’è una procedura. Si fanno delle previsioni e la procedura per essere sviluppata richiede circa 6 ore di tempo. Quindi con sei ore di anticipo sul fenomeno dell’alta marea si procede a fare tutte le azioni che sono necessarie per poi rendere operativo lo sbarramento. È il tempo di reazione o di previsione necessario, un tempo abbastanza lungo rispetto ai tempi caratteristici di certi fenomeni indotti dal vento.
La marea però cresce e cala con una certa regolarità…
Non però in queste condizioni, in cui la marea è dominata dagli agenti atmosferici e da fatti metereologici. Per cui il classico tempo, caratteristico della marea che a Venezia è di tipo semidiurno, cioè di 12 ore, può anche non realizzarsi. Le fasi possono durare infatti anche più di 12 ore. Come per esempio è avvenuto nel 1966, in cui la fase di crescita della marea si è protratta per molto più tempo.
Ammettiamo però che il Mose si metta in funzione e le paratie mobili si alzino, a quel punto la laguna è sigillata. Non si entra e non si esce. Potrebbe essere un problema?
In linea di massima non è un problema, però c’è semmai un altro problema che secondo me è stato sottovalutato in fase progettuale, ed è legato al comportamento della laguna quando le bocche di porto sono chiuse. Perché è un comportamento molto diverso da quello con bocche aperte. Con riferimento proprio all’azione del vento.
Cosa significa esattamente?
L’azione del vento, oggi come oggi - a bocche aperte - è in qualche modo mitigata perché se per esempio spira un vento di bora che tende a “insaccare” le acque verso Chioggia, si manifesta nella laguna una circolazione secondaria che vede acqua entrare dalle due bocche di Lido e di Malamocco e uscire attraverso la bocca di Chioggia. Le portate d’acqua in gioco possono essere consistenti, perché potrebbero arrivare anche a 3.000 metri cubi al secondo. E qualora tutte le bocche fossero chiuse questa circolazione, che vede acqua entrare dal Lido e Malamocco e uscire da Chioggia, evidentemente non si realizza più.
Con quali conseguenze?
Un vento di bora può produrre, a laguna chiusa, effetti di innalzamento della marea, a Chioggia, di gran lunga superiori a quelli che si manifestano attualmente, anche a Venezia. Attualmente ci sono dislivelli, o possono esserci dislivelli, durante lo spirare dei venti di bora, che comportano “colmi” superiori a Chioggia anche di una ventina di centimetri circa rispetto a quello che si registra a Venezia. Ma quando la laguna fosse invece essere chiusa, questi dislivelli potrebbero diventare addirittura più che doppi.
Quindi il risultato è che va sotto Chioggia. È così?
Va sotto Chioggia, infatti. E questo è un effetto collaterale e anche un aspetto che i progettisti non hanno valutato attentamente. Di ciò ho dato dimostrazione ampia, con il calcolo, facendo vedere proprio quali sono gli effetti dei venti. Perché quando spira vento di bora c’è un dislivello che penalizza Chioggia, quando spira vento di scirocco c’è un dislivello che penalizza i centri storici di Venezia, di Murano, Burano, Torcello, cioè quelli che sono sulla laguna nord-orientale.
Se le paratie del Mose fossero entrate in funzione, avrebbero arginato la marea?
Sì. Avrebbero consentito di affrontarla in modo meno drammatico di quanto poi è accaduto. Sicuramente non ci sarebbero stati a Venezia e a Chioggia e a Pellestrina gli allagamenti che abbiamo invece avuto.
Il dibattito è molto aperto, ma quali sono le controindicazioni vere del Mose. Lei le può elencare?
È una struttura malpensata. Nel senso che è evidente che per difenderci dalle acque alte eccezionali non c’è soluzione diversa, oggi come oggi, da quella di intercludere la laguna rispetto al mare. E cioè chiudere le bocche di porto. Ma la soluzione strutturale che è stata scelta, a mio avviso, l’ho sempre detto ma pure inutilmente, è una soluzione che pone dei problemi, innanzitutto di carattere strutturale di funzionamento.
Si spieghi
Perché queste paratie, che sono oscillanti, potrebbero vedere le oscillazioni essere amplificate di gran lunga da particolari stati di moto ondoso che si possono manifestare e che si sono anche già manifestati. Perché quando la frequenza delle onde che incidono su queste barriere è confrontabile con l’oscillazione propria di queste strutture, si va verso una situazione in cui le oscillazioni stesse tendono ad aumentare. Quindi abbiamo un fenomeno estremamente pericoloso. Il rischio, perciò, è che queste barriere, che sono indipendenti una dall’altra, potrebbero disarticolarsi. Ed è un problema che è stato sollevato e del quale il Consorzio Venezia Nuova, concessionario dell’opera, non ha mai dato dimostrazione della non sussistenza del problema stesso.
E il secondo problema, qual è?
Riguarda la scelta per lo sbarramento delle bocche di porto, riguarda il fatto che, in prospettiva, già quando il progetto fu presentato, c’erano segni evidenti di innalzamento del livello medio del mare. E questo fenomeno è stato sottostimato dal Consorzio Venezia Nuova o dai suoi esperti, se preferisce, ed è stato sottostimato in misura inconcepibile rispetto alle previsioni di un organismo internazionale come l’IPCC, che dava indicazioni di gran lunga superiori per questo fenomeno.
Cosa ha detto l’IPCC?
L’IPCC parlava già negli anni ’90 di 50 cm come probabile innalzamento del livello medio del mare, mentre il Consorzio Venezia Nuova si è arroccato intorno al valore di 22 centimetri…
Meno della metà…
Già… Poi in un caso catastrofico, disastroso, è stato calcolato in 30 centimetri. Ma siamo sempre sull’ordine della metà. La verità è che poi negli anni successivi queste previsioni sono state confermate, anzi nell’ultimo rapporto dell’IPCC - che è il quinto - si parla di 70 cm come valore medio probabile di innalzamento. Altri dicono addirittura un metro.
Le chiedo ancora, con quali conseguenze?
Tutto questo mina alla base l’idea intorno alla quale girava l’ipotesi di chiusura delle bocche di porto, perché quando fu presentato questo progetto la finalità sbandierata era quella di difendere i centri storici dalle acque alte, favorire l’ambiente lagunare, salvaguardare la portualità. Situazioni che diventeranno problematiche, in prospettiva, e in previsione di un innalzamento del livello medio del mare, perché non potranno essere perseguite insieme. Sono obiettivi che richiedono interventi che sono in contrapposizione tra loro e perciò si dovrà tra non molto, se quelle barriere diventeranno operative, scegliere se difenderti dal mare che entra producendo l’acqua alta, tutelare l’ambiente lagunare oppure favorire la navigazione, dunque la portualità. Tutte e tre insieme non si conciliano. Non sono compatibili. Questo è l’altro grande difetto del progetto del Mose.
Ma quanto dovrebbero rimanere chiuse le bocche di porto in un anno? È stato calcolato?
Parlavano di 5 o 6 volte l’anno, mediamente, ma nelle simulazioni che io ho fatto - considerando le maree che vanno dal 200 al 2018 - questo numero di interventi, mediamente, nell’arco di un anno e se si considera un innalzamento di 50 centimetri del livello medio del mare, che è una cosa plausibile e credibile, ebbene con 50 centimetri di innalzamento del livello medio del mare gli interventi necessari su queste maree che vanno dal 2000 al 2018 sarebbero stati 350.
350 complessivi?
No, 350 all’anno!
Ma è un numero altissimo… Una chiusura al giorno, di fatto.
Beh, di fatto sì, o quasi… In certe parti dell’anno diventa necessario chiudere tutti i giorni. Poi un problema non considerato in questa prospettiva è che le chiusure non riguarderanno il singolo evento di marea, perché ci sono situazioni di marea tra il 2000 e il 2018 in cui io devo anticipare la chiusura delle bocche di porto di parecchi cicli di marea, quindi mi trovo nella condizione di chiusure che possono durare 6 o 7 ore come nel caso in cui devo controllare un singolo evento, isolato. Ma in ogni caso mi trovo di fronte a chiusure che possono durare anche più giorni. Addirittura settimane. Per fronteggiare il “colmo” di una marea che si presenta oggi potrei dover chiudere anche con un anticipo di 5 o 6 giorni.
È tantissimo tempo prima… Cosa potrebbe comportare? Quali danni?
Intanto ambientali. Per l’ingresso delle navi. Per l’approvvigionamento della città. Dell’industria a Marghera. Per la portualità in generale.
E per la laguna cosa significherebbe in termini di ossigenazione?
Lei tocca il punto rilevante. Alcuni biologi, che hanno esperienza in questo campo, dicono che non si dovrebbe andare oltre a chiusure che durano più di 48 ore, 24-48 ore come massimo, perché altrimenti iniziano processi anossici all’interno della laguna e questa non sarà più una laguna ma un bacino costiero anossico. Cioè privo di ossigeno. E anche questa prospettiva non è stata considerata.
Ma poi c’è un altro punto interrogativo: il costo di esercizio del Mose. A quanto potrebbe ammontare?
La sottovalutazione è incredibile e non so se in buona o cattiva fede. Tant’è che oggi si parla di somme di gran lunga superiori a quelle indicate dal Consorzio Venezia Nuova al momento della presentazione del progetto. E del suo finanziamento
E che si aggirano all’incirca…?
Allora, nel 2006 nelle riunioni a Palazzo Chigi sostenevano che sarebbero stati 10-15 milioni all’anno e noi dicevamo che non era possibile perché ritenevamo che si andasse su un rapporto di costi intorno all’1-2% del costo di realizzazione, un numero che non aveva davvero senso. Ma da un paio d’anni a questa parte il Provveditorato alle opere pubbliche ha ammesso che potrebbero essere più di 100-120 milioni i costi di manutenzione all’anno.
Il suo giudizio qual è?
Che la Repubblica italiana ha trovato 6 miliardi e più per realizzare le opere ma non è detto che troverà ogni anno 100-120 milioni per mantenere e per gestire queste opere.