Benvenuti nella società dell’ansia

Qualche giorno fa #ThingsThatGiveMeAnxiety ha sbancato su Twitter. Segno che questo stato ormai è entrato nel quotidiano.

Giorgio Triani 02.8.2019 www.lettera43

Tutta l’ansia minuto per minuto. Come nella celebre rubrica radiofonica. Mercoledì “le cose che mi danno ansia”, #ThingsThatGiveMeAnxiety, hanno sbaragliato su Twitter tutte le altre tendenze del giorno. Per la cronaca l’ansia ha battuto anche il compleanno di Harry Potter. Ora se è vero che il Matteo Salvini è identificato come “ministro della paura” è indubbio che, visti anche i sondaggi, l’ansia si sia imposta largamente, come sentimento collettivo sulla paura.

LE COSE CHE CREANO ANSIA (AL POPOLO DI TWITTER)

Ma vediamo alcune delle «cose che mi danno ansia» rilanciate in tutto il mondo. Parlare con uno straniero nella sua lingua e dire cose sbagliate; parlare in pubblico; le barrette di Kit Kat; il traffico di Los Angeles; fallire in amore; scoppiare a ridere di fronte a una tragedia; il vento che scompiglia i capelli #fuckoffwind; pensare che qualcuno da qualche parte sta flirtando con la mia futura moglie; incontrare nuove persone; lasciare le finestre aperte quando esco di casa…. Insomma un inventario ampio di sciocchezze, idiosincrasie, fissazioni che però a differenza della paura non materializzano – almeno sui social – incubi o il pensiero di comportamenti aggressivi o violenti nei confronti della cosa/persona temuta. Bensì un ordinario sentimento oscillante fra insoddisfazione e irritazione, fastidio e accettazione della seccatura quotidiana. Che perlopiù si concretizza come timore di non essere all’altezza, di essere troppo o niente rispetto a una situazione. Caso classico, paradigmatico, è la scelta del vestito da mettere quel giorno o per quell’occasione, più o meno particolare. Che ci vede di norma sempre e comunque inadeguati. Fuori posto. Overdressed davanti ad armadi che rigurgitano di vestiti, ma nel contempo underdressed, rispetto alla certezza di non avere l’accessorio che serve. Di non avere mai l’oggetto giusto.

SE L’ANSIA DIVENTA IDENTITARIA

Ovviamente questo è l’aspetto esteriore di un fenomeno sociale più articolato e complesso. Rivelatore di una stagione che è di grande, veloce, talvolta repentino, mutamento. E che si caratterizza in primo luogo come incertezza di status, di ruolo. Come ansia identitaria. Fenomeno questo che non è inedito, visto che ha cominciato a manifestarsi con evidenza agli inizi del Duemila, ma che è esploso con l’avvento dei social media. Ci sono alcuni claim pubblicitari d’annata che restano memorabili e più che mai attuali. Who will you be in the next 24hours?, «Chi sarai nelle prossime 24 ore?» (Patek Philippe). «Quante donne sei?» (Omsa). «Con una camicia Ingram non sei più lo stesso».

LA CULTURA DELLA AGE OF ANXIETY

Aggiungiamo anche che di Age of anxiety si cominciò a parlare, soprattutto in Inghilterra, con il pieno dispiegarsi della società industriale d’inizio Novecento. E con quel titolo, ispirato all’omonimo libro di Wystan Hugh Auden, c’è una sinfonia di Leonard Bernstein scritta nel 1948.

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