L’Europa ha un cuore verde: ecco perché l’Ue è l’istituzione più ambientalista al mondo
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Otto leggi ambientali su dieci provengono da direttive dell’Unione europea ma non lo sappiamo.
Andrea Fioravanti 24.5.2019 www.linkiesta.it
Dal divieto della plastica monouso entro il 2021 agli standard minimi per la qualità dell'aria e i limiti alle emissioni di gas serra. Se gli stati implementassero le leggi Ue risparmieremmo 55 miliardi
Ha abolito le cannucce, le posate e i bicchieri di plastica usa e getta che finiscono nelle pance di uccelli e pesci di tutto il mondo. Ha imposto limiti sulla vendita dei sacchetti di plastica che inquinano i nostri oceani e delle emissioni di Co2 per auto che causano i nostri tumori. Ha fissato gli standard minimi per la qualità dell’aria che respiriamo imponendo il rispetto dei livelli bassi delle polveri sottili. Ha bloccato l’uso del pesticida che provoca la morte di milioni di api ogni giorno e ha salvato la foresta più antica d’Europa, nonostante il governo polacco volesse disboscarne una parte per farci passare una circonvallazione. Otto leggi ambientali su dieci provengono da direttive dell’Unione europea ma non lo sappiamo. Senza le sue istituzioni gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima sarebbero rispettati in modo scoordinato e discontinuo dagli Stati. L’Ue non è, e forse non sarà mai un organismo perfetto, ma negli ultimi cinque anni è stata decisiva nella lotta alle conseguenze nefaste del cambiamento climatico. Secondo la Commissione europea se gli Stati implementassero tutte le leggi che l’Unione europea fa per l’ambiente risparmieremmo 55 miliardi di euro. Spesso però i 27 Paesi Ue non eseguono le sue direttive e sono sanzionate dalla Corte di giustizia europea. Come l’Italia che ha diciassette cause in corso per non aver rispettato direttive Ue su discariche, rifiuti, qualità dell’aria. Ce lo chiede l’Europa, non Greta, di rispettare l’ambiente, ma non lo facciamo abbastanza.
In questi cinque anni sono tanti i provvedimenti verdi approvati dalle due “camere” dell’Ue che funzionano come le nostre Senato e Camera, ovvero il Parlamento europeo e il Consiglio, l’organo Ue che riunisce di volta in volta i ministri dei 27 Stati dell’Unione in base al dossier da affrontare. Entrambe devono approvare lo stesso testo. La direttiva Ue ambientale più famosa è quella che vieta l’uso della plastica usa e getta entro il 2021. Il 21 maggio il Consiglio ha dato il via libera per contrastare un’emergenza: ogni anno nell'UE vengono prodotti 26 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Meno del 30% è riciclato. Il resto viene smaltito fuori dall’Ue o finisce sulle spiagge, nelle foreste, nei fiumi e nei mari. Non parliamo solo di posate monouso ma anche cotton fioc, i bastoncini di plastica per i palloncini, e i contenitori per alimenti. Tra tre anni non potranno più essere in commercio. Tradotto: 22 miliardi di euro risparmiati, ovvero quanto costerebbe smaltire l’inquinamento della plastica in Europa fino al 2030. Perché otto rifiuti su dieci che finiscono nel mare sono fatti di plastica. C’è un aspetto della direttiva meno pubblicizzato dai media ma decisivo nella salvaguardia ambientale. Con questa legge gli Stati membri dovranno raccogliere e togliere dalla circolazione il 90% delle bottiglie di plastica nei prossimi dieci anni. Quelle che saranno rimesse sul mercato dovranno contenere per un quarto materiale riciclato entro il 2025. Ed entro il 2030 la soglia aumenterà al 30%. Chi inquina paga, questa è la filosofia della direttiva che impone a chi produce materiale inquinante il costo per raccoglierla. È come se il Parlamento europeo in questi cinque anni avesse chiuso il cerchio. Ricordate il caos sull’aumento del costo dei sacchetti di plastica? Parliamo di quelli per imbustare gli ortaggi e le verdure al supermercato. Ecco secondo la Commissione europea ognuno di noi ne usa 198 all’anno. Per questo motivo quattro anni fa il Parlamento europeo ha dato agli Stati due possibilità: ridurre il consumo medio annuo di sacchetti di plastica a 90 sacchetti leggeri per cittadino entro il 2019 e 40 entro il 2025, o farli pagare di più. Il governo Renzi scelse la seconda scatendando un putiferio. Ma solo nel 2010 oltre 8 miliardi di sacchetti di plastica sono diventati rifiuti perché troppo sottili per essere riciclati.
Ma non si vive di sola plastica. L’Unione europea ha fatto molto anche per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Chiariamo una cosa: un organismo come l’Ue non può direttamente cambiare le cose da un giorno all’altro. Il margine di manovra è stretto e spesso si riduce, si fa per dire, a imporre degli standard da rispettare, facendo fare il lavoro agli Stati membri. Per questo a marzo 2019 il Parlamento europeo ha imposto su tutto il “ciclo di vita” delle emissioni delle autovetture controlli a livello europeo. Il problema non è secondario perché le emissioni di gas serra nel settore dei trasporti non calano dal 1990. Ventinove anni di aumenti. Ventinove. Secondo l'Agenzia europea dell'ambiente i mezzi su strada generano il 20% delle emissioni totali di gas serra nell’Ue e il 72% nel settore dei trasporti (dati del 2016). Per invertire la tendenza il Parlamento europeo ha introdotto due obblighi che le cause d’auto dovranno rispettare, soprattutto quelle tedesche coinvolte nello scandalo del Dieselgate. Entro il 2030 le case automobilistiche dovranno ridurre del 37,5% le emissioni di Co2 delle nuove autovetture e del 31% per i nuovi furgoni. Chi supera la soglia, pagherà una multa.
Se implementassimo tutte le leggi che l’Unione europea fa per l’ambiente risparmieremmo 55 miliardi di euro, ovvero i costi relativi all’impatto sanitario e i costi diretti sull’ambiente, senza contare le 400mila persone che muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento dell’aria
Tutti vorremmo un trasporto più pulito ma la transizione tra energie fossili inquinanti e quelle rinnovabili pulite non è semplice. Nel novembre del 2018 il Parlamento europeo ha imposto agli Stati membri di produrre da fonti rinnovabili almeno il 32% del consumo finale lordo dell'Unione nel 2030. Anche qui si tratta di un limite da rispettare, per giunta a livello europeo e non nazionale, quindi ci saranno stati che potranno rimanere al di sotto di quella soglia. Per questo la Commissione europea ha una clausola per poter intervenire entro il 2023 ed alzare l’asticella. Ma come si fa a raggiungere una soglia del genere in così poco tempo? A qualcosa bisogna pur rinunciare. Per esempio gli investimenti nella produzione di biocarburanti a base di colture alimentari è stata disincentivata: l’uso di olio di palma sarà abolito entro il 2030 a favore di biocarburanti avanzati di biogas che dovranno essere almeno dell'1% nel 2025 e almeno del 3,5% nel 2030. E almeno il 14% dei carburanti per i trasporti deve provenire da fonti rinnovabili entro il 2030. Oltre i numeri c’è anche un aspetto interessante della direttiva che garantisce a tutti i cittadini europei di prodursi da soli l’energia rinnovabile per il proprio consumo. E fino a qui ci mancherebbe, ma la novità sta nel fatto che chi ha immagazzinato più energia del necessario può vendere quella in eccesso. Quindi ciascun cittadino può diventare produttore di energie rinnovabili. Quasi in secondo piano, forse perché i numeri si assomigliano, è un altro obiettivo approvato a novembre 2018 dal Parlamento: aumentare del 32,5% l'efficienza energetica entro il 2030 che porterà a ridurre, e di molto, il costo delle bollette.
L’Unione europea non si occupa solo di nuove leggi ma anche di rimettere a posto quelle già approvate che il peggioramento della situazione ambientale porta a rivedere di volta in volta. Entro il 5 luglio del 2020 gli Stati membri dovranno attuare quattro direttive entrate in vigore un anno fa, una nuova versione di sei direttive diventate obsolete. Questo pacchetto “economia circolare” e riguardano principalmente i nostri comuni. Entro il 2025 almeno il 55% dei rifiuti urbani deve essere riciclato con due scalini (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035). Questo vuol dire meno smaltimento in discarica: entro il 2035 solo il 10% potrà essere smaltito lì e 70% degli imballaggi dovrà essere riciclato entro il 2030. Senza contare che i rifiuti biodegradabili dovranno essere raccolti separatamente entro il 2024 o riciclati a casa attraverso il compostaggio. Travolti dai numeri? Tatuatevi questo nella mente: secondo l’Ispra in Sicilia ancora non si raggiunge il 20% di riciclo dei rifiuti nei comuni, in Molise solo il 28%, mentre nel comune di Roma la soglia è al 44%. A livello nazionale siamo al 52,5%, tre punti in meno dell’obiettivo.
Tutto bello e tutto verde? Non proprio. Il problema non è fare le leggi ma attuarle. Se implementassimo tutte le direttive che l’Unione europea fa per l’ambiente risparmieremmo 55 miliardi di euro, ovvero i costi relativi all’impatto sanitario e i costi diretti sull’ambiente, senza contare le 400mila persone che muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento dell’aria. A dirlo è il Commissario europeo per la pesca e gli affari marittimi Karmenu Vella che il 20 maggio subito dopo la settimana verde europea ha lanciato l’allarme. Nel Riesame dell’Attuazione delle Politiche Ambientali (EIR) fatto dalla Commissione si vede come negli ultimi 7 anni l’Italia ha fatto progressi nel trattamento dei rifiuti. Sono aumentati i livelli di riciclo e del compostaggio, ma Il governo italiano procede troppo lentamente nella bonifica delle discariche abusive nonostante le sanzioni comminate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea a partire dal 2014. La Corte ha condannato l’Italia anche perché ancora non ha una rete appropriata di gestione dei rifiuti in Campania. Senza contare le sanzioni per l’inquinamento dell’aria. Come ha notato Milena Gabanelli sul Corriere della Sera sono diciassette le procedure di infrazione ancora aperte contro l’Italia: 204 milioni pagati solo per le discariche abusive, 151 per la gestione dei rifiuti in Campania, 25 per il mancato trattamento delle acque reflue urbane. L’Unione europea da sempre associata al colore blu. È nella bandiera con dodici stelle gialle, è usato in qualsiasi conferenza stampa di un politico della Commissione o di un eurodeputato. Un colore rassicurante scelto perché richiama il cielo più scuro che si può vedere alzando la testa in occidente, rispetto a quello più chiaro d’oriente. Ma l’Europa dovrebbe puntare di più su quanto fa per l’ambiente e far capire ai cittadini italiani che se la loro aria e acqua non è più come un tempo non è colpa del leviatano di Bruxelles, ma dello Stato che non implementa le sue direttive. O alzando la testa rischiamo di non vedere più il cielo di colore blu.