PREGHIERA. Un vino che al Vinitaly non c’è
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Bottiglia da litro, tappo a vite, vitigni autoctoni ed etichetta semplice
di Camillo Langone 6 Aprile 2019 www.ilfoglio.it
Un vino che al Vinitaly non c’è
Che la bottiglia sia da litro (ai veri bevitori la 0,75 risulta misura un po’ misera). Che abbia il tappo a vite (il sughero è costoso quando lo paghi, faticoso quando lo estrai, rischioso quando lo annusi). Che contenga un vino affinato in vetroresina (col legno fateci i comodini!). Ricavato da vitigni autoctoni (cabernet e chardonnay non siano sottratti ai palati californiani, cinesi e coreani che tanto li apprezzano). Con suppergiù 11 gradi (cerco l’estasi, non l’ubriachezza). Che in etichetta non compaiano scritte quali DOC e DOCG e nemmeno IGT (ammiro gli uomini liberi, i produttori non irregimentati nei consorzi). Che in controetichetta non compaiano marchietti e bollini verdolini (le certificazioni di qualità trattano i bevitori da minorati o da minori, mentre io sono abbastanza grande per riconoscere la qualità da solo). Che costi non più di 15 euro: ogni centesimo sopra quella cifra serve a pagare cose inutili o nocive tipo sugheri, alcol, barrique, burocrati, certificatori... Che mi dia il gusto perverso di lodare, all’apertura del Vinitaly, un vino che al Vinitaly non c’è.