La natura è cattiva, e gli animali fanno mostruosità (incluso il controllo della mente)
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I parassiti, gli esseri più piccoli e all’apparenza meno temibili, sono in realtà grandi manipolatori in natura. E così anche un fungo può dirigere le azioni di un animale raffinato come la formica
Laura Antonelli Carli, 3.12.2018 www.linkiesta.it
Anche gli animali hanno una propria dimensione sociale e vederli che si muovono in gruppi non ci stupisce, anzi. Sciami di insetti, branchi di gnu, stormi di uccelli o banchi di pesci sono rassicuranti, perché ci ricordano quella tendenza all’aggregazione che abbiamo anche noi, come esseri umani. Perché l’unione fa la forza, la salvezza sta nel numero e così via. Ma la natura è incredibilmente complessa e spesso i meccanismi che la regolano sono meno ovvi dei proverbi.
Prendiamo per esempio un gambero di mare, l’Artemia. Una creaturina nota anche come “scimmia di mare” che negli anni Settanta e Ottanta era la famosa protagonista di una pubblicità altamente ingannevole che vendeva a tutti i bambini l’allettante possibilità di diventare il Dio di un perfetto microcosmo acquatico.
Bene, l’Artemia di solito nuota per i fatti suoi, ma capita spesso di vederne parecchie tutte insieme, riunite in grandi banchi rossastri. Stagione dell’accoppiamento? Non proprio. A rendere questo gambero improvvisamente socievole è in realtà un parassita, una tenia, il cui ciclo vitale coinvolge diversi ospiti, l’ultimo dei quali è il fenicottero rosa: l’unico corpo nel quale la tenia si riproduce. In pratica, i gamberi infettatati dalla tenia iniziano a nuotare insieme e diventano rossi unicamente per essere più facilmente pescati dai fenicotteri. In questo caso la salvezza non sta nel numero, anzi.
In casi come questi – e sono più di quanti immaginate – l’errore interpretativo è partire dal presupposto che gli animali abbiano il controllo delle proprie azioni e che agiscano quindi per il proprio interesse, mentre spesso non è così.
La natura è incredibilmente complessa e spesso i meccanismi che la regolano sono meno ovvi dei proverbi
Ad Haiti ci sono tre diversi tipi di zombie. Parliamo degli zombie veri, naturalmente, non quelli di film come Io sono leggenda e nemmeno gli zombie di Romero. Il primo tipo è lo “zombie psichiatrico”, cioè i pazienti psichiatrici (in genere schizofrenici) che sono convinti di essere morti. Il secondo tipo è lo zombie “magico-religioso” del voodoo, cioè persone avvelenate da uno stregone con la tetrodotossina secondo un rituale di vendetta o di giustizia magico-religiosa. E poi c’è lo “zombie sociale”: vagabondi, senzatetto o persone sole che arrivano a riempire il vuoto lasciato quando qualcuno della comunità scompare (storie del genere “Lo smemorato di Collegno”).
Ecco, nel favoloso mondo dei parassiti e degli insetti, lo zombie di tipo due va per la maggiore, come nel caso della formica zombie.
Siamo in una foresta pluviale e stiamo seguendo la vita laboriosa e senza pretese di una comune formica carpentiere. Va in giro, cerca cibo, lo trasporta, lavora insieme alle sue compagne della colonia. Poi, un giorno come gli altri, intorno a mezzogiorno, scompare. Esce dall’orbita delle sue compagne e barcolla un po’ in giro, fino a sistemarsi sulla pagina inferiore di una foglia che si trova esattamente a 25 centimetri dal suolo. Poi morde forte la foglia e muore.
Ogni giorno, diverse formiche della foresta pluviale compiono questo strano rituale funebre che va avanti più o meno da 48 milioni di anni. Ma la parte più interessante arriva ora, cioè quando, dalla parte posteriore della testa della formica morta, inizia a fiorire una specie di gambo che annaffia di spore il suolo sottostante – che è sempre, guarda caso, una delle piste più battute dalle formiche.
Per capirne di più, dobbiamo tornare indietro di tre settimane, cioè a quando la nostra ignara formica è stata infettata da una spora del fungo Ophiocordyceps. Nelle tre settimane successive, mentre la formica posseduta si aggira per la colonia senza destare sospetti, il fungo prolifera, fino a occupare metà della massa interna dell’ospite. E soprattutto, arriva a controllare la sua mente, guidando la formica sulla foglia perfetta, quella cioè con le giuste condizioni di temperatura e umidità, nonché nella posizione ideale per inondare con le spore le altre formiche, trasformandole a loro volta in fattorini zombie trasportatori di spore. Perché nella foresta pluviale il vento è scarso, e per riprodursi un povero fungo è costretto a ingegnarsi come può. Anche a costo di usare la bieca manipolazione mentale.
La vespa inietta nel cervello dello scarafaggio una neurotossina che non lo uccide, e nemmeno lo paralizza, ma fornisce alla vespa una sorta di controllo sui movimenti della vittima
La formica d’altra parte è un insetto forte, laborioso, che vive in comunità e, soprattutto, che cammina parecchio. Tutto ciò la rende un mezzo di trasporto ideale non solo per i funghi ma anche per le mosche Pseudacteon (o mosche taglia teste).
Capita soprattutto alle formiche di fuoco del Sud America. La mosca inocula un uovo all’interno della formica e dopo qualche giorno la larva che ne fuoriesce si fa strada fino al cervello dell’ospite e inizia a controllarlo. Secondo il volere della larva di mosca, la formica – sempre viva e dal comportamento insospettabile – si allontana dalla colonia e si abbandona su un letto di foglie, caldo e umido. Qui la larva rilascia delle sostanze chimiche che disciolgono le membrane che assemblano il corpo della formica (testa compresa) e ne divora il cervello. Utilizza la carcassa vuota ancora per qualche settimana, per crescere al caldo e al riparo, dopo di che sbuca dalla testa e vola via.
Qualcosa di simile accade anche quando una vespa smeraldo (Ampulex compressa) incontra un comune scarafaggio (ben più grande di lei) e decide di renderlo suo schiavo. La vespa inietta nel cervello dello scarafaggio una neurotossina che non lo uccide, e nemmeno lo paralizza, ma fornisce alla vespa una sorta di controllo sui movimenti della vittima, che in pratica, pur potendo scappare, semplicemente non lo fa. La vespa è quindi libera di trascinare per l’antenna il malcapitato fino al suo nido. Qui inocula un uovo nel corpo dello scarafaggio vivo e la larva lo mangia dall’interno: una storia che già conosciamo.
Dai funghi alle tenie, alcune specie parassite hanno capito nel tempo come ottenere ciò di cui hanno bisogno attraverso la manipolazione altrui
Infiltrati, agenti sotto copertura, esseri assoggettati al volere altrui da droghe, incantesimi o complicati meccanismi di lavaggio del cervello: non ci siamo inventati nulla. E il mondo dei parassiti, a differenza del rasoio di Occam, insegna a non accontentarsi mai della spiegazione più ovvia.
Per esempio, osservando un bruco che attacca ogni insetto che si avvicina a lui e ai bozzoli bianchi che ha vicino, la lettura della situazione sembra ovvia: il bruco sta proteggendo le crisalidi dei suoi fratelli. Invece no: il suo comportamento ha a che fare con la vespa Glyptapanteles, o vespa endoparassita. Con un amore materno degno della saponificatrice di Collegno, la vespa madre fa un foro nel corpo del bruco e depone al suo interno fino a ottanta uova. Quando queste si schiudono, le piccole larve di vespa divorano dall’interno la propria incubatrice prima di abbandonarla, usata e prosciugata.
Anche abbandonato, però, il bruco non muore subito: alcune vespine si attardano al suo interno, ne tappano le ferite e ne manomettono chimicamente il cervello, così che questo, anziché ribellarsi e aggredire le ex ospiti così poco riconoscenti, si trasforma in una sorta di gorilla zombie manesco, masochisticamente devoto alla prole di vespa. La sua volontà completamente assoggettata lo obbliga, non solo ad aiutare le larve a tessere i bozzoli dove compiranno la trasformazione in adulti, ma anche a difendere a costo della vita i discendenti dell’essere che l’ha ucciso. Un destino ironico e umiliante.
Nient’altro che strategie di adattamento. Splatter e crudeli strategie di adattamento. Risposte straordinariamente brillanti a problemi pratici, come un ambiente troppo poco ventoso, bozzoli troppo indifesi o distanze troppo lunghe da percorrere. Dai funghi alle tenie, alcune specie parassite hanno capito nel tempo come ottenere ciò di cui hanno bisogno attraverso la manipolazione altrui, sopperendo alle proprie carenze naturali e a quelle del proprio ambiente.
Non è un caso se i più letali manipolatori mentali sono proprio gli esseri più minuscoli. È facile sottovalutare i parassiti: sono piccoli e vivono per lo più nascosti in altri corpi
Non è un caso se i più letali manipolatori mentali sono proprio gli esseri più minuscoli e all’apparenza meno temibili. È facile sottovalutare i parassiti: sono piccoli e vivono per lo più nascosti in altri corpi. Ma pensiamo al caso abbastanza noto del grillo suicida. I grilli non sanno nuotare, ma quando sono infestati dal verme gordiano sembrano dimenticarsene e si gettano a centinaia in acqua, senza motivo apparente. Ormai abbiamo capito come funziona: il motivo è permettere al proprio parassita di ultimare il proprio ciclo vitale, così, mentre il grillo affoga, dal suo corpo emerge tranquillo il verme gordiano, che in acqua invece se la cava alla grande.
Lo scienziato giapponese Takuya Sato ha scoperto, analizzando un fiume, che i grilli e le cavallette affogati sono così tanti da rappresentare circa il 60 percento della dieta delle trote locali.
Ciò che fa più impressione è constatare come una creatura semplice e senza un cervello senziente come un fungo possa dirigere le azioni di un animale raffinato come la formica, ma c’è di peggio. È abbastanza noto come il Toxoplasma agisca nei confronti dei topi. Dato che l’habitat ideale di questo parassita, quello in cui può riprodursi, è il corpo dei gatti, il Toxoplasma sviluppa nei topi contagiati un’attrazione viscerale nei confronti dell’urina di gatto, un odore che di solito, per loro, è un segnale di grande allarme.
C’è chi pensa che il Toxoplasma sia in grado di influenzare anche alcuni comportamenti umani. Per esempio spiegherebbe il folle, incondizionato e spasmodico amore di alcune persone nei confronti dei gatti. Ma dal punto di vista scientifico la questione è ancora aperta e controversa. Certo, Toxo a parte, è piuttosto improbabile che l’essere umano sia l’unica specie impermeabile a questo tipo di manipolazioni.
È piuttosto improbabile che l’essere umano sia l’unica specie impermeabile a questo tipo di manipolazioni
Dai farmaci alle sostanze più varie, dalla pubblicità alla propaganda, dalle religioni al consumismo, l’uomo, in modo più maldestro della natura, ha sempre giocato a manipolare le menti. Eppure la nostra indipendenza e il nostro libero arbitrio ci stanno molto a cuore, tanto da inventare continuamente racconti del folclore e distopie orwelliane per scongiurare le nostre paure di assoggettamento.
Senza abbandonarsi al riduzionismo scientista, come se il libero arbitrio fosse solo il relitto di un passato oscuro e antiscientifico, bisogna riconoscere che su questo tema si gioca un dibattito fondamentale per la visione che si avrà, in futuro, dei temi legati alla giustizia e alla morale. Basta pensare all’importanza crescente delle prove neuroscientifiche nei processi penali, come il caso emblematico dell’insegnante di Charlottesville e del suo tumore al cervello.
Al di là dell’ambito penale, anche nella vita di tutti i giorni il nostro senso comune è abituato ad attribuire molta colpa all’errore e molto merito alla virtù (anche se De André non era d’accordo). Il mondo dei parassiti insegna a non limitarsi alla prima interpretazione.