Finkielkraut animalista difende le mucche contro il robespierrismo dei vegani
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Un libro del filosofo francese sugli uomini e gli animali
di Mauro Zanon 23 Settembre 2018 www.ilfoglio.it
Parigi. Sulla sua spada di accademico di Francia si è fatto incidere una mucca. Perché Alain Finkielkraut, filosofo, intellettuale parigino e animatore del programma radiofonico Répliques, nutre verso queste creature una tenerezza che nessun altro animale riesce a suscitare in lui. Soltanto l’elefante si avvicina al placido bovino di cui si è innamorato errando tra la terre dolci della provincia francese, “perché, come diceva Chesterton, assomiglia a un animale che non esiste, e perché la sua pelle è tutta piena di rughe. Si direbbe che sono vecchi come il mondo. Nel mio bestiario intimo e delirante, l’elefante è ebreo. Ma alla fine ho scelto la mucca, perché fa parte del nostro paesaggio familiare. Abitiamo nello stesso mondo. Posso vederla, dirle buongiorno, avere una discussione. Io e lei siamo europei”.
Si è confessato all’Express, Finkie, su un terreno inatteso per un pensatore che ci ha aiutato a capire il malessere dell’uomo moderno e di quella Francia dall’“identità infelice” – titolo di uno dei suoi libri più malinconici – attaccata dalle incursioni dell’islam politico e accecata dai falsi splendori del multiculturalismo: quello della causa animalista. Un terreno che ha iniziato a esplorare dopo aver incrociato la strada della filosofa Elisabeth de Fontenay, autrice del saggio “Le silence des bêtes”, consacrato all’enigma dell’animalità e a come le diverse tradizioni filosofiche occidentali l’hanno affrontato. “L’incontro con Elisabeth de Fontenay è stato decisivo. Ho capito grazie a lei la portata filosofica e l’importanza politica dell’amore per le bestie. Mi sono reso conto che il mio ‘legame’ con le mucche aveva un significato profondo. L’allevamento all’aperto è stato progressivamente sostituito da ciò che Jocelyne Porcher chiama ‘la produzione animale’: le mucche sono inghiottite all’interno di fabbriche gigantesche, che di fattoria hanno soltanto il nome”, ha dichiarato Finkielkraut all’Express.
Un incontro ha stimolato l’altro, e dalle conversazioni con i suoi ospiti su France Culture è nato anche un libro: “Des animaux et des hommes” (Fayard), dove le riflessioni di grandi specialisti della causa animalista si mescolano alle inquietudini di scrittori, registi e allevatori per la condizione animale nell’èra industriale. Finkielkraut raccoglie le loro posizioni e ci invita a riflettere senza tensioni su temi che vengono spesso trattati con aggressività ideologica, dalla distinzione uomo-animale agli zoo, dalla corrida al nostro rapporto con gli animali domestici, dalla macellazione al veganesimo. Su quest’ultimo punto, in particolare, Finkielkraut ha molte cose da dire. E come sempre, lo dice senza peli sulla lingua. “Il veganesimo è un movimento che si fa vanto della propria superiorità morale”, sostiene lo scrittore, fermamente ostile agli antispecisti che considerano “gli uomini degli animali come gli altri”. E’ una “posizione assurda”, attacca il filosofo, che non esita a parlare di “robespierrismo” per descrivere i comportanti violentemente dogmatici di alcuni difensori della causa vegana, quelli che negli ultimi tempi si sono resi protagonisti di attacchi contro le macellerie francesi, con tanto di vetrine spaccate e minacce di morte ai titolari (l’ultimo episodio si è verificato ad agosto a Lille: una macelleria è stata vandalizzata e imbrattata di scritte “assassino” e “stop allo specismo”).
In risposta alla radicalizzazione di certi animalisti, all’inquietante esplosione dell’estremismo antispecista, Finkielkraut ritiene necessario tornare a una difesa intellettualmente e politicamente sana della causa, che passa attraverso la messa in discussione del sistema di allevamento industriale. “Voglio che le mucche possano continuare a pascolare nei campi invece di essere rinchiuse all’interno di fabbriche di latte o di carne”, ha affermato l’accademico di Francia durante la trasmissione televisiva “On n’est pas couché”. Affinché le bestie non siano più soltanto delle “macchine da proteine”, Finkielkraut invoca un ritorno diffuso a un sistema di allevamento all’aperto, dicendosi dispiaciuto del fatto che “la maggioranza degli ecologisti non prenda questo tema sul serio”.
Per lo scrittore, gli uomini hanno un’immensa responsabilità nei confronti degli animali con cui coabitano in questa Terra, proprio perché l’uomo non è un animale come gli altri. Ma anche le mucche, per la loro grazia e la loro dolcezza, non sono degli animali come gli altri. “Ogni volta che mi avventuro fuori dalla città, dalla banlieue alle zone periurbane che rosicchiano poco a poco la campagna, incontro questi grandi erbivori, e mi sciolgo di tenerezza – confessa Finkielkraut – A differenza dei leopardi, dei leoni, delle pantere o delle aquile con cui si ornano molti stemmi, non farebbe male a una mosca. Come ha scritto meravigliosamente Kundera, le mucche ‘sono tranquille, senza malizia, talvolta infantilmente allegre, sembrano grasse cinquantenni che fingono di avere quattordici anni. Non c’è nulla di più commovente delle mucche che giocano’”.