Quello che non ho.
- Dettagli
- Categoria: Ambiente
Chiara Gamberale e i Senza Figli. Che cosa ne sanno, gli altri, degli ideali che non ti abbracciano?
di Chiara Gamberale | 02 Settembre 2016 ore 10:59 Foglio
Succede che succede: hai trentanove anni. E succede che anche fra chi ti è più caro tutti hanno smesso diaverne venti. Succede che però, quasi tutti, oltre a più o meno quarant’anni, hanno un figlio, due, tre. E succede che tu no, non ce l’hai. – Ancora no – Rispondevi, fino a un anno fa, a chi ti faceva la fatidica domanda. Ma quell’“ancora”, di mese in mese, si è fatto traballante, nonostante quell’amica di una tua amica che non ci pensava neanche più e a quarantasei anni, ma dai?!, nonostante la sorella del fidanzato di tua cugina abbia partorito un mese fa, a quarantadue, nonostante Monica Bellucci. Finché: – No, non ce l’ho – Rispondi, adesso, e “ancora” lo tieni per te, lo coccoli come un peluche che ogni giorno ha il pelo un po’ più consumato e con cui però non puoi rinunciare a dormire, non ancora. E nel frattempo, però, c’è il “nel frattempo”.
ARTICOLI CORRELATI Il Figlio La rabbia dei bambini. In silenzio o in fuga verso la città distrutta Ricominciare da capo dopo quattordici anni
Uno spazio aperto, tanto quanto è chiuso quello dell’ancora. Uno spazio pieno di gente, tanto quanto èsolitario l’altro. Uno spazio dove, la maggior parte di quella gente, appunto, ha quello che tu non hai. E, che lo dichiari o no, a seconda del grado di confidenza che vi lega, di te pensa fondamentalmente una cosa: – Che ne puoi sapere, tu – Che ne puoi sapere di che cosa significa, avere un figlio. Come fai a immaginare come cambino le priorità. I rapporti. Il corpo, il cuore, la città: cambia tutto. Ma tu. Tu che ne sai. E senz’altro è così: le persone Senza Figli non capiranno mai fino in fondo quelle Con Figli. Però, se è vero questo, è vero anche il contrario: cioè che le persone Con Figli non capiranno mai fino in fondo quelle Senza Figli e che hanno superato una certa età.
Le persone SF, però, per sforzarsi di capire quelle CF hanno a disposizione una società che senza nemmeno farlo apposta li costringe a mettersi nei panni dei CF e soprattutto sono a loro volta figlie di persone CF, hanno mille volte litigato con loro, le hanno viste soffrire, sbagliare, essere felici: le persone CF invece no. Non possono essere figlie, per forza di cose, di persone SF, quindi non hanno mai davvero avuto a che fare con loro. E che ne possono sapere, dunque. Che ne possono sapere di quanto siano lunghe, ma lunghe perché vuote, non perché troppo piene come le loro, certe domeniche dei SF. Che ne possono sapere di quanto sembri ridicolo soprattutto a chi lo sbandiera, l’interesse spasmodico che certi SF sembrano mostrare per un pettegolezzo, per una serie tv, per un libro, per un viaggio: e quanto sia vitale, però, barattare in continuazione un po’ di senso con un mondo che evidentemente un senso non ce l’ha.
Non possono immaginare, i CF, la responsabilità che a un SF tocca dare a una storia d’amore: perché le coppie senza figli vivono di grandi ideali, scriveva Virginia Woolf, ed è un’occasione meravigliosa, certo, però non ci si può distrarre mai. Dei grandi ideali, perché non rimpiccioliscano, bisogna occuparsi ogni giorno. Anche dei figli, potrebbe ribattere un CF. Però i figli ti abbracciano, gli ideali no, ribatterebbe a sua volta un SF. Gli ideali si abbracciano. Punto. Sempre a proposito d’amore, poi, i CF non dovranno mai più di tanto giustificare (con loro stessi, con i nuovi compagni e sempre con lei, madre società) un possibile legame ancora vivo con un ex storico: è il padre di mia figlia, è la madre di mio figlio, ecco perché lo sento tutti i giorni. Dicono. E stanno a posto così. Non devono chiedersi perché, anche se l’amore è finito, la voglia di sentire quella persona, di sapere come sta e che fa, rimanga, non devono fare i conti con la raccolta differenziata fra il ruolo che quella persona non occupa più nella loro vita e il suo valore.
In sintesi non sanno, non possono sapere, i CF, che cosa significhi non avere, assieme alla gioia, la scusa di un figlio, la garanzia di un conflitto santo in cui potersi annullare e dimenticare, almeno ogni tanto, di sé, distrarre dall’incessante guerra a cui chiama l’ombelico contro i limiti, le paure, da questa sfida penosa, però necessaria, per comprendere cos’è che di noi possiamo cambiare, e cosa invece no, non possiamo cambiare, anche se vorremmo essere diversi, migliori di così. Prima di tutto meno costretti a essere così concentrati su noi stessi. Meno bambini. Perché, di fondo, quello che un CF non può immaginare, è quanto certi SF (non tutti: ma certi sì, certi senza dubbio sì) vorrebbero non essere SF. Anche se non hanno il coraggio o l’arroganza o l’umiltà di sfidare la natura e di mettersi al posto della vita, anziché accettare che faccia lei. Soprattutto se non hanno quel coraggio, quell’arroganza, quell’umiltà.