ArcinemiciL’odio profondo tra Carl Lewis e Ben Johnson, (i cento metri in pista ndr9

Categoria: Sport

In “La gara più sporca” Richard Moore racconta la storica rivalità tra i due protagonisti della finale dei cento metri alle Olimpiadi di Seul del 1988

1.7.2025 Richard Moore, linkiesta.it lettura4’

Carl Lewis e Ben Johnson si detestavano davvero? Oppure, come spesso accade tra i pesi massimi della boxe, c’è stato un pizzico di finzione, di recita per gli spettatori, tutto per dare una marcia in più alla loro rivalità, ravvivare l’interesse del pubblico e aumentare così le tariffe delle loro apparizioni?

A quanto pare no, l’antipatia sembra genuina. Johnson non offre nessuna spiegazione plausibile, mentre dal punto di vista di Lewis non è difficile immaginare che non sopportasse il canadese. Dopotutto, l’immagine che aveva di sé – per non parlare del suo piano di marketing – era fondata sull’idea che potesse trascendere lo sport. Ma per farlo doveva essere il numero uno, non avrebbe funzionato se fosse stato solo uno tra i contendenti. Johnson era una minaccia significativa e non solo sulla pista di atletica. Ma per il gruppo di Francis, Lewis aveva trattato i suoi rivali con sprezzo. Forse era paura, ma Johnson interpretò il distacco e la freddezza con cui il rivale reagì alle sconfitte come una mancanza di rispetto. Per lui Lewis era uno che non sapeva perdere.

La rivalità si intensificò nel 1987, l’anno della seconda edizione dei Campionati del mondo di atletica leggera, in programma a Roma, in parte perché la loro reciproca antipatia divenne più palese e in parte perché i loro incroci divennero più rari. Prima di Roma, Johnson e Lewis si erano fronteggiati una volta sola, il 28 maggio a Siviglia, cosa che generò il sospetto che si stessero evitando, soprattutto per volere di Johnson.

Ora che era stato riconosciuto come l’uomo più veloce del mondo, l’interesse da parte del suo paese, il Canada, si era fatto così intenso che, come raccontato da Francis, «la fama di Ben stava iniziando a incidere sui nostri allenamenti». Nel 1986 gli fu consegnato il Lou Marsh Trophy per essersi distinto tra le personalità sportive della nazione. Stava anche iniziando a guadagnare dei bei soldi – con tariffe «a cinque cifre» per le sue apparizioni – lasciandosi andare all’amore per le auto veloci, per cui alla fine comprò una Porsche e una Ferrari. Nel frattempo guidava una Corvette nera (targata: ben84), una Mazda rx7 e una Toyota Supra.

Nel 1987 Johnson era il miglior corridore canadese dai tempi di Harry Jerome, detentore di alcuni record mondiali negli anni Sessanta, col bonus aggiuntivo di aver ereditato la corona da uno statunitense. Se c’è una cosa che i canadesi amano più di vincere è battere i loro dominanti vicini di casa – in particolare qualcuno come Carl Lewis, che sembrava sintetizzare molti tratti tipici degli statunitensi. Era sicuro di sé, sfacciato ed estroverso, mentre Johnson poteva apparire umile, tranquillo e riservato. Tuttavia è interessante notare come in contesti differenti – se parli del giovane Lewis con Joe Douglas, o di Johnson con Angella Issajenko – queste descrizioni possano divenire intercambiabili: Lewis poteva essere timido, Johnson uno showman. Ma l’immagine che iniziò a formarsi intorno a quest’ultimo era piuttosto bizzarra.

Naturalmente la stampa alimentò la promettente rivalità, provocando Johnson perché si esprimesse in termini dispregiativi nei confronti di Lewis. Non gli servivano grossi incoraggiamenti. Sulla resa dei conti ai Goodwill Games di Mosca, Johnson disse del rivale: «Ha detto che sarebbe arrivato in aereo, che mi avrebbe preso a calci nel culo e che poi sarebbe tornato dritto a casa. Sentire quella cosa mi ha fatto correre veloce come non mai». Sulle sue interazioni con Lewis, rivelò: «Parla solo con i suoi pochi amici, tutto qui. Quando vince, non ha bisogno di amici. Quando perde, sembra che gliene servano di più. Io e lui ci scambiamo un cenno con la testa, nient’altro».

L’interesse stava crescendo anche per quanto riguardava la vita di Johnson fuori dalla pista, e la sua personalità iniziò a finire sotto i riflettori. «Big Ben, timido e silenzioso, l’anno scorso è sembrato saltare fuori dal suo guscio dopo averlo distrutto» scrisse «Star» in uno dei primi profili dedicati al canadese. «Ha ascoltato le insinuazioni rivolte al suo intelletto e ne è rimasto ferito, ma ha conservato un’invidiabile calma. Non si è mai rifiutato di parlare con i giornalisti che l’avevano ingiustamente etichettato come uno duro di comprendonio».

«A volte nessuno mi chiede niente, mi ritengono semplicemente uno poco intelligente» ha raccontato Johnson al giornale. «Non ne faccio un dramma».

In seguito, l’autore del pezzo, Al Sokol, ritenne di essere stato poco sensibile anche solo per aver sollevato la questione del qi, e lo fece presente a Johnson, il quale rispose che un po’ gli aveva dato fastidio, ma che era rilassato al riguardo: «Hai ribadito qualcosa che ho sentito per tutta la vita, ma questo non significa che non parlerò più con te, perché voglio farti capire come funzionava. Gli insegnanti sostenevano che fossi lento di comprendonio e io me ne convincevo. Non si aspettavano molto da me e io non davo molto a loro. Poi Charlie mi disse che ero un tipo abbastanza sveglio e che avrei fatto bene a iniziare a comportarmi come tale, e così feci. Niente di che».

Francis disse che per lui Johnson era «un ragazzo davvero brillante che aveva difficoltà a esprimere sé stesso». La questione della sua intelligenza avrebbe giocato un ruolo significativo davanti alla Commissione Dubin, come ricorda, in modo affascinante, anche Issajenko nel suo libro. All’inizio aveva imputato la timidezza dell’atleta, che lei chiamava BJ, all’imbarazzo per l’accento e al suo balbettare. Ma in seguito cambiò idea: «Sono arrivata alla conclusione che Ben è anche incredibilmente pigro… provava di continuo a far fare agli altri qualcosa per lui. Mi chiamava a tutte le ore del giorno e della notte per cercargli cose nelle pagine gialle». Aneddoto che, nel momento stesso in cui lo riporta, fa suonare a Issajenko un allarme: «Forse c’è di più. Gli analfabeti funzionali mostrano spesso comportamenti manipolatori; usano complicati e sottili sotterfugi per nascondere il loro analfabetismo. Forse BJ non sapeva leggere bene».