I tormenti della Cei tra dubbi sul Family day e rimpianti per i Dico
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I vescovi criticano (sui giornali) il ddl sulle unioni civili, ma sanno che il Papa li vuole “pastori” e non “piloti”
di Matteo Matzuzzi | 09 Gennaio 2016 ore 06:07 Foglio
Roma. Nella sede della Conferenza episcopale italiana, sull’Aurelia, l’interlocutore di turno alza il sopracciglio quando sente parlare di ipotetico Family day organizzato con vessilli e benedizioni episcopali. Non è proprio aria, dicono a taccuini chiusi. La situazione del 2007 non è più replicabile, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. E’ cambiato il mondo, e non c’entra solo il fatto che la stagione delle mobilitazioni di massa e dei grandi raduni sia tramontata. Oggi, nel battagliare quotidiano sui giornali riguardo il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, di vescovi pronti a guidare una simil crociata non se ne vede l’ombra, tranne qualche rara eccezione. Capita perfino che qualche presule, per giunta cardinale di fresca creazione (Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, sul Corriere della Sera di ieri) guardi con rimpianto a quanto si riuscì a bloccare otto anni fa: “Facendo un confronto con ciò che viene proposto oggi verrebbe quasi da dire benedetti i Dico!”, anche se – chiosava – non si può dire cosa sarebbe accaduto successivamente all’approvazione di quel provvedimento. Forse, l’utero in affitto sarebbe già realtà, chissà. L’avversione per il ddl Cirinnà è netta, e non solo riguardo il punto più contestato, quello della stepchild adoption – ritenuta “inammissibile” dalla Cei – che ha indotto più d’un cattolico della maggioranza di governo a concedersi qualche supplemento di riflessione prima del passaggio parlamentare. Intervistato dal Sir (Servizio informazione religiosa), il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale familiare della Cei, don Paolo Gentili, si domandava perché “si debba liquefare ulteriormente il matrimonio”.
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A ogni modo, garantisce don Paolo Gentili, “non abbiamo nulla contro il riconoscimento dei diritti individuali delle persone omosessuali, come poter andare a visitare il partner in ospedale o in carcere o decidere quale parte di patrimonio lasciargli in eredità. Però, sottolinea “un conto è un paese che mira al futuro e quindi investe sulla famiglia reale; un altro è un paese che si preoccupa solo dei diritti di alcuni gruppi”. Su come agire per bloccarne l’approvazione, dunque, si va con i piedi di piombo. Anche perché le linee-guida illustrate dal Papa a Firenze lo scorso novembre, in occasione del Convegno ecclesiale, sono assai chiare: i vescovi siano pastori e non organizzatori, e anziché perdere tempo ed energie nello stilare complessi programmi pastorali, si badi di più a quei “tre sentimenti” di Gesù di cui la chiesa dovrebbe farsi portatrice, e cioè l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine. Camillo Ruini ricordava la scorsa estate su questo giornale che per scendere in piazza (con possibilità di successo) deve esserci “un obiettivo concreto, sentito da molta gente come importante e realizzabile”. Di questi tempi, ciò non basta più.
“Più che creare singoli eventi, che di per sé possono anche essere importanti, questo scenario ci chiede, come insegna Papa Francesco, di avviare e curare un processo che sappia risvegliare nei politici uno sguardo globale sulla realtà”, ha riconosciuto don Gentili. Oggi – ed è il segnale che implicitamente ha ribadito più volte l’attuale segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, specie dopo le polemiche seguite alla manifestazione del giugno scorso in difesa della famiglia, organizzata senza il placet episcopale – in piazza sotto i vessilli della Cei si va solo per pregare con il Papa, non per manifestare contro leggi allo studio del governo. Meglio dialogare, allacciare relazioni a più livelli, che radunare masse armate di cartelli e megafoni. Il cardinale Bassetti l’ha fatto intuire, quando ha ricordato che i compiti dei laici sono ben diversi da quelli dei vescovi. Dopotutto, Bergoglio era stato chiaro, la scorsa primavera, parlando proprio ai presuli italiani: “I laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità”. Categorie, quest’ultime, che l’allora arcivescovo di Buenos Aires aveva mostrato di gradire assai poco quando si trattò di contrastare la serie di provvedimenti dei governi Kirchner (Nestor e Cristina) non in linea con la morale cattolica. Opposizione sì, ma senza sfilare in strada dietro striscioni varipointi. Non è più tempo di direttive dall’alto.
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