E' iniziata la resa dei conti nella Chiesa americana
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Vescovi divisi, strategie fallite, silenzi imbarazzati. Non basteranno né uno spoils system ordinato da Roma né la moral suasion di Biden per rimetterla in piedi
MATTEO MATZUZZI 08.1. 2021 ilfoglio.it lettura3’
Tutte le differenze di tono nei comunicati dei vari presuli. Il silenzio di Dolan, le urla di Cupich, gli avvertimenti di Gregory
“Chi semina vento raccoglie tempesta e ora è fin troppo facile collegare gli avvenimenti di Washington alle accuse di brogli lanciate da Trump dopo il voto del 3 novembre, accuse che non hanno mai trovato un riscontro oggettivo”, scrive l’Osservatore Romano nel suo editoriale pubblicato ieri pomeriggio in prima pagina. La Radio Vaticana aveva legato l’assalto al Campidoglio con la chiamata alle armi fatta da Donald Trump per impedire la certificazione dell’elezione di Joe Biden. Dello spettacolo andato in scena mercoledì, tra selfie, spari e bandiere confederate, resteranno cicatrici profonde, prosegue il quotidiano ufficiale della Santa Sede, destinate a segnare la vita sociale e politica americana per chissà quanto tempo.
Il clima è da resa dei conti anche all’interno della chiesa cattolica locale, divisa a metà tra quanti hanno sostenuto più o meno attivamente e pubblicamente il presidente uscente e chi – la nuova guardia – non ha fatto mistero di auspicare la vittoria del tandem democratico.
“Questo è il momento per i leader cristiani di ammettere la loro parte nella violenza a Capitol Hill. Quando definisci le elezioni come ‘il bene contro il male’, diffami i candidati e dici che votare per un candidato è un ‘peccato mortale’, incoraggi le persone a pensare che le azioni di oggi siano morali”, ha twittato il gesuita James Martin, sottolineando che tanta benzina è stata gettata sulle braci ardenti in questi mesi e che anche all’interno delle alte gerarchie c’è chi ha sottovalutato le crepe che stavano segnando l’America. Non si tratta solo dei proclami apocalittici e dei folcloristici comunicati dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, autocandidatosi al ruolo di macchiettistico cappellano della Casa Bianca trumpiana: il problema è che la frattura è riscontrabile all’interno della Conferenza episcopale statunitense, che quanto a potenza ricchezza e peso specifico non è proprio irrilevante, visto che qui non vale il principio dell’uno-vale-uno. Ed è una frattura che, ancora una volta, corre lungo la faglia tra gli opposti schieramenti in gioco, destra contro sinistra, conservatori muscolari e liberal. “E’ una “vergogna nazionale”, ha detto non a caso il cardinale arcivescovo di Chicago Blase Cupich, punta di diamante della chiesa bergogliana in America, appellandosi a senatori e rappresentanti perché difendano la Costituzione “che hanno giurato di difendere”. Quindi l’affondo diretto a Trump: “Per molti mesi abbiamo assistito alla deliberata erosione delle norme del nostro sistema di governo” e quanto si è visto in Campidoglio dovrebbe “scioccare la coscienza di ogni americano patriottico e di ogni cattolico fedele”.
Stesso canovaccio seguito dal cardinale Wilton Gregory, arcivescovo di Washington e fresco di porpora: “Il tono di divisione che ha recentemente dominato le nostre conversazioni deve cambiare e coloro che ricorrono alla retorica incendiaria devono assumersi la responsabilità di incitare alla crescente violenza nella nostra nazione”. Ancora, “dovremmo sentirci violati quando la libertà ereditata, custodita in quell’edificio, viene profanata”. Ben più moderata e misurata è stata invece la dichiarazione del presidente della Conferenza episcopale, mons. José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles: “Questo non è ciò che siamo come americani, dove la transizione pacifica del potere è uno dei segni distintivi”, “dobbiamo fermarci e pregare per la pace in questo momento critico”.
Dagli altri, molti altri, silenzio. Forse imbarazzato, forse necessario per non allargare ancora di più il solco e cercare di offrire un’immagine di Chiesa il più possibile unita, anche se nessuno ci crede. Sui social si sprecano gli attacchi, ironici e seri, al cardinale arcivescovo di New York Timothy Dolan, che mai ha nascosto una certa ammirazione per Trump.
Qualche manifestante, davanti al Campidoglio, issava un crocifisso per dare alla protesta un tono da battaglia decisiva e finale, la luce (copyright di mons. Viganò) contro le tenebre, il bene contro il male. Dove il bene è rappresentato ora dallo sconfitto e il male dal vincente. Non basterà uno spoils system episcopale, soprattutto se ordinato da Roma, a rimettere in sesto la Chiesa americana, divisa e dominata da un poco salutare caos.