Due anni fa Nadia Murad e altre migliaia di donne furono catturate, torturate e stuprate dagli islamisti dello Stato islamico. Nel dicembre del 2015 è stata invitata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Da quel giorno chiede di gridare allo scandalo, di non coprirsi gli occhi, di non girarsi dall’altra parte quando si descrive l’orrore di una guerra di religione
La fuga del popolo yazida dalla Siria (Foto LaPresse)
di Claudio Cerasa | 05 Agosto 2016 ore 06:26 Foglio
Nadia Murad è una ventiduenne irachena di religione yazida e due giorni fa ha rilasciato una meravigliosa intervista al Time per ricordare la sua storia, due anni dopo una data drammatica che dovrebbe essere scolpita nella memoria di chi nega che quella di oggi sia una guerra di religione: quattro agosto del 2014. Nadia Murad, nell’agosto di due anni fa, fu una delle cinquemila donne rapite dai soldati dello Stato islamico. In quella notte, nel nord dell’Iraq, nella regione di Sinjar, vennero rapiti 6.140 yazidi infedeli e a ognuno di loro venne data una possibilità di salvezza: convert or die, convertiti o muori.
Nadia Murad
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In quella notte migliaia di donne furono catturate dagli islamisti e Nadia Murad, come tutti gli altri, era parte del bottino di guerra. Fu torturata e stuprata. Vide morire con i propri occhi sua madre e i suoi sei fratelli. Dopo qualche mese venne trascinata a Mosul con altre 150 giovani della sua età. A tutte venne imposto il cambio di religione (ma non è una guerra di religione). Le donne vennero ancora stuprate fino a perdere i sensi. Ai bambini, che Nadia ricorda fossero più di mille, venne fatto il lavaggio del cervello per farli diventare futuri guerriglieri. In tutto, in quei giorni, gli yazidi rapiti e ridotti in schiavitù furono circa 10 mila. Dopo tre mesi, Nadia riuscì a scappare dall’inferno costruito su misura dallo Stato islamico contro un popolo infedele. E’ arrivata in Germania, a Stoccarda. Nel dicembre del 2015 è stata invitata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Da quel giorno si è trasformata nella Ayaan Hirsi Ali del suo popolo. Chiede di gridare allo scandalo, di non coprirsi gli occhi, di non girarsi dall’altra parte quando si descrive l’orrore di una guerra di religione. Una guerra che qualcuno vuole negare, minimizzare, ridurre a semplice follia inspiegabile, magari generata da un mondo drogato dai vizi del dio denaro, ma che purtroppo esiste e che è ben rappresentata dalla storia di Nadia Murad: una donna che crede nella propria religione e che ha rischiato la propria vita perché considerata infedele da chi combatte in nome di un’altra religione.
Nel novembre del 2015 Sinjar è stata liberata dall’Isis dai peshmerga curdi e dai soldati iracheni sostenuti dall’aviazione americana ma nonostante questo i massacri non sono finiti. Poco più di un mese fa diciannove yazide sono state bruciate vive dentro una gabbia di metallo a Mosul, capitale del Califfato in Iraq, per essersi rifiutate di concedersi come schiave sessuali ai combattenti dell’Isis. Nel 2014 ci fu molto clamore per il massacro di Sinjar. Due anni dopo Nadia denuncia un silenzio scioccante. Che riguarda un mondo islamico che non riesce a essere compatto di fronte ai massacri commessi in nome dell’islam – per i wahabiti gli yazidi sono apostati, per i sunniti sono adoratori del diavolo. Che riguarda una parte del mondo femminista che in nome dell’islamicamente corretto ha rinunciato a essere compatto nella condanna degli abusi perpetrati sulle donne nel nome dell’islam. Che riguarda anche un occidente silente che riducendo la guerra di religione a un problema legato al disagio sociale non aiuta le Nadia Murad a realizzare il proprio sogno: non restare in silenzio di fronte all’orrore. Nadia Murad ha chiesto di incontrare il Papa. E chissà che guardando negli occhi di Nadia, Francesco non si renda conto che la guerra in corso è contro tutte le religioni infedeli, contro le quali combatte un esercito che uccide non in nome dell’odio per il capitalismo ma in nome di alcuni versetti del Corano. Ci vuole una Nadia in Vaticano, per dimostrare che chi guida la chiesa non ha intenzione di rimanere in silenzio di fronte agli orrori del nuovo totalitarismo. Un secolo fa, gli yazidi di Sinjar salvarono migliaia di cristiani mentre venivano massacrati dalle forze turche ottomane. Oggi tocca a noi.