2015, fuga da Taranto
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Chi s’è allontanato dall’Ilva che scotta e chi non è pervenuto
di Alberto Brambilla | 26 Settembre 2015 ore 06:18
Chi tocca Ilva si brucia, e molti hanno preferito allontanarsi da Taranto ora che l’acciaieria è ancora senza liquidità (perde 40 milioni al mese, nel primo semestre 250). Fuggitivo di fatto è Andrea Guerra, mastermind del piano di rilancio; lascerà l’incarico di consulente strategico di Renzi per diventare presidente esecutivo di Eataly a ottobre. E’ solo il più clamoroso degli smottamenti nella struttura manageriale. L’ex dg, Roberto Renon, scelto da Gnudi, è stato sostituito a inizio anno con Massimo Rosini da Guerra (entrambi ex Indesit). Rosini ha appena avviato un rimpasto ai vertici perpetuando la cattiva prassi della gestione commissariale di piazzare “non siderurgici” in ruoli apicali; logica che ha motivato puntute critiche da Federacciai.
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Oltre ai manager sono fuggiti i clienti. Fiat-Chrysler, a lungo legata a doppio filo con Ilva, ha scelto l’acciaio coreano. Il consorzio Tap ha bocciato la candidatura di Ilva alla produzione di tubi per il gasdotto azero-greco-italiano; commessa da 300 milioni che il governo sperava di vincere. I tubifici e il reparto rivestimenti sono chiusi. Evergreen e Hutchison, operatori asiatici del porto tarantino, sono andati al Pireo. Si sono defilati i potenziali acquirenti sondati da commissari e governo ArcelorMittal (anglo-indiana), Jws Steel (India), Emirates Steel (Eau), Companhia siderúrgica nacional (Brasile), Texas Pacific (Usa), Marcegaglia, Arvedi. Seguono addii anche in procura: Franco Sebastio, sostituto procuratore di Taranto e vecchia conoscenza dell’ambientalismo locale, andrà in pensione e dovrà essere sostituito entro l’anno. Dulcis in fundo: Maurizio Landini, ultrà della nazionalizzazione, s’è oramai eclissato. Adieu!
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