Laura Boldrini La madonnina del pianto 2

E’ Laura Boldrini, santa patrona dell’Accoglienza. La lacrima radical-chic come programma politico

di Mario Sechi | 21 Settembre 2015 ore 10:21

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Laura Boldrini è nata a Macerata nel 1961. Il 16 marzo del 2013 è stata eletta presidente della Camera

Non era così. Scuotono la testa, i compagni di un tempo che fu. No, non era così. Tradiscono uno sguardo liquido, proiettato verso un passato remoto, quello in cui Lei proprio non era così. Era cordiale, su un altro pianeta. Era simpatica, in un’altra galassia. Era Laura Boldrini. E non era ancora Presidente della Camera. “Non era così, era cordiale, era simpatica”. Yes comrades, come vi capisco, mentre inchiostro qua e là le pagine del mio taccuino, in testa mi frulla un motivo di Franco Battiato: “Il tempo cambia molte cose nella vita / il senso le amicizie le opinioni / che voglia di cambiare che c’è in me / Si sente / il bisogno di una propria evoluzione / sganciata dalle regole comuni / da questa falsa personalità”. Corre l’anno 1981, Battiato compone il suo album capolavoro, “La voce del padrone”, e lei, Laura, ha appena vent’anni, da un anno frequenta la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza e ha un saldo centro di gravità permanente che non le fa “cambiare idea sulle cose e sulla gente”. Quello accadrà, più tardi. Con l’ascesa al potere. Prima dello shocking day, la sua elezione alla presidenza della Camera, il 16 marzo del 2013, c’è la storia di un’altra Laura, quella che “oggi non c’è / è andata via”. Non tornerà mai più. L’altra Laura, quelle che ricordano i compagni dei bei tempi andati ha “le giacche fricchettone, i capelli non fatti, qualche chilo in più e… ride”.

Laura ottiene la laurea nel 1985, ha il sacro fuoco della scrittura che scorre nelle vene, collabora con la Rai e già lavora alla sceneggiatura della sua vita mondanissima e altermondista. Se sei nata a Macerata nel 1961 – troppo tardi per fare il Sessantotto e troppo presto per cantare “E’ qui la festa” di Jovanotti – se vivi nella campagna di Jesi, se sei la primogenita di cinque figli, se hai un padre avvocato, conservatore, religioso e amante della musica classica, se tua mamma è insegnante d’arte, se la tua vita è scandita dal metronomo della tradizione, è matematico che prima o poi scappi in Sudamerica a caccia della lontana libertà. Altro che Simon Bolivar, è così Laura, viaggiatrice dei due mondi, raccoglitrice di riso in Venezuela, un rosario di fango, pioggia, capanne, finca de arroz, campesinos e revoluciòn. Sono i primi passi di quella che poi diventerà la Nostra Signora degli Ultimi in Carrozza. Lei in carrozza, gli ultimi a piedi. Grande è il richiamo della foresta pluviale e del deserto, il lavoro per il prossimo reietto, la sua destinazione naturale è quella delle Nazioni Unite, il posto d’osservazione da dove parte la sua indignazione in servizio permanente effettivo. “Non era così come oggi”, sì ho capito, ma ora lasciatemi scrivere, idealisti. Perché la storia di Laura è una cascata, è un “voglio”, un “subito”, un “non domani”, un “tutto”, è l’ambizione travestita di gne gne, il cocktail dell’Italia dei piagnoni in carriera. Così Laura realizza il suo primo sogno, entra alla Fao, produce video e radio, è un tazebao viaggiante del pensiero debole che passa da una sigla all’altra dell’Onu con la disinvoltura di chi entra ed esce da un grand hotel con le porte girevoli e i valletti con le borse in mano, mi raccomando. C’è il programma alimentare mondiale e lei è il portavoce per l’Italia, fa e disfa le valigie in continuazione, poi approda nel 1998 all’Alto commissariato per i rifugiati e là comincia la fase da transformer, la rondinella diventa un’aquila con gli artigli di titanio, il suo percorso verso la stratosfera degli Eletti è senza ostacoli, il suo decollo verticale è da Space Shuttle. E’ una navicella che usa tutto il carburante del serbatoio e poi lo sgancia in mare perché da quel momento è solo un peso. Citofanare Sel per avere conferme. Quando i giornalisti chiesero lumi sulla crisi e gli abbandoni nel partito vendoliano, Laura rispose: “Io mi sono presentata alle elezioni come indipendente”. Vamos compañeros! E tanti saluti.

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Ora, provate a immaginare la scena, una furia e Nichi che non spiccica parola, roba da American Comedy “Lui mi ascolta in silenzio. Dopo dieci minuti di sfogo, mi rendo conto di non averlo lasciato parlare: mi scuso e gli domando il motivo della telefonata”. Eh, già, il poveretto ha proprio fatto una telefonata, e certo, so’ dieci minuti de passione civile ma lei è “certa che nella sua regione ci siano delle questioni umanitarie su cui attivarsi”. Vendola fa la figura del babbeo vestito a festa, ma che volete, la prosa è letteraria e il cuore di Laura batte ancora più a sinistra, il racconto vibra tutto in sottosterzo e alla fine la traiettoria si raddrizza con un Vendola che balbetta qualcosa: “Come Sel vogliamo intensificare la battaglia sui diritti – mi dice – visto che la Grecia non è così lontana da noi… Tu ti sei battuta contro il razzismo, le discriminazioni, a sostegno di rifugiati e migranti, e per questo rappresenti un punto di riferimento. Perciò ti chiedo di candidarti con noi alle prossime elezioni”. Patatrac! La decisione è già presa e il libro apre scorci idilliaci da collezione Harmony: “Ero desiderosa di stupirmi, di guardare il Machu Picchu e restare senza fiato, di andare in Tibet a oltre seimila metri e avere la forza di respirare; di fermarmi a Bamiyan davanti ai Buddha e sentirmi fortunata di poter ammirare le meraviglie del pianeta, di potermi alimentare di tanta bellezza”. E’ un passaggio dove si rivela tutta la forza narrativa della Karen Blixen di Jesi, dalla mia Africa alla Nostra Laura del Pianto.

Quando la neve comincia a rotolare dal K2, la Boldrini diventa rapidamente una valanga. Non fa neppure in tempo a varcare la soglia del portone di Montecitorio e Pier Luigi Bersani – lasciata la pompa di benzina di Bettola e sotto l’effetto stroboscopico delle tovagliette a quadretti rossi dell’osteria – compie il tragico errore: Boldrini presidente della Camera. C’è da capirlo, Pier Luigi, non sa che pesci pigliare, è come Nino Benvenuti dopo aver incontrato Carlos Monzon, leggermente confuso: non ha vinto, non ha perso, ha Grillo che lo manda in tilt come un flipper preso a colpi da un lottatore di sumo, s’ingegna a trovare la società civile nei salotti del take away benpensante e così si convince che lei, Laura protettrice degli ultimi, è l’arma segreta per ammorbidire il comico genovese. Crac. Laura Boldrini fa coppia con Pietro Grasso, il principe del vuoto. Diventano in breve tempo i Sandra e Raimondo del vernissage istituzionale e per la Boldrini Montecitorio è il palcoscenico ideale, ha uno scranno bello alto e tutti gli altri sono sotto il controllo dei suoi occhi, arpioni di una baleniera atlantica. Il suo primo discorso alla Camera è la Polaroid di un mondo: “Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi in Italia e nel mondo”. Bello, ma da quel momento tutto è First Class e lei, Laura, non è più Laura, è un’altra. Sparisce la ragazza che sorride sulla copertina di Famiglia Cristiana. Compare l’austera e sofisticata lady sulla copertina di D, il settimanale femminile di Repubblica, dove posa con la malìa della femme de pouvoir: abito blu cobalto che si sposa con il lucido corvino della chioma non pettinata ma scolpita, gli orecchini che impreziosiscono i contorni del viso come gocce di pioggia dopo mezzanotte, il trucco che disegna le linee classiche del naso, il mascara che fa vibrare le pupille, il rossetto che accende le labbra. Signore e signori, è finito il freak, comincia lo chic. Ecco a voi la nuova Boldrini, titolata così: “Camera con Laura”, un calembour sul libro di E. M. Forster, l’allusione in celluloide, un personaggio che ha il tocco di James Ivory. Che eleganza, che splendore, che finezza. E voi dove siete, comuni mortali? Tutti ancora a cercarla sulle pagine dell’impegnato settimanale Left, mentre lei è già morbidamente atterrata nell’impaginato glam dei patinati femminili. Ella ha un altro palcoscenico, compagni.

Ad “Agorà” nell’aprile scorso Laura va in scena dopo la strage nel Canale di Sicilia. Sigla, partono i servizi, Gerry Greco conduce da par suo, Pablo Rojas dà numeri e cifre, e alle nove in punto, in collegamento, compare la presidente Boldrini, discorso dal maxischermo, un piedistallo in pixel. Qualche settimana dopo, il format cambia e gli ospiti di “Agorà Estate” traslocano, se levano proprio de torno va’, che non offuschino l’aurea persona, via le poltrone, resta lo sgabello, Serena Bortone la interroga sull’ultima fatica letteraria. E’ la terza carica dello stato, non può confondersi con altri soggetti, quella è roba da collettivo, una fissa da frikkettoni, meglio fuori dalla ggente. Il format ormai è collaudato e si ripete qualche giorno fa. Il palcoscenico è quello del “Martedì” di Giovanni Floris, comincia una nuova stagione, c’è Bersani, c’è il sindaco Marino, un pantheon anti-renziano, alè Giova e poi c’è lei, in piedi, che ride sulle battute del Crozza-Marino. Laura compare in studio, A-a-abbronzatissima! un’ambrata terza carica dello stato, dorée, scintillante per l’intervistona one to one, ha il passo pre-programmato, quando s’accomoda in poltrona è regina degli indivanados, giacca e pantalone grigio-ghiaccio lasciano che sia il volto a battere le ali, scocca il ventinovesimo minuto di trasmissione e tutto il problema dell’immigrazione, delle guerre, dell’accoglienza, dei profughi, diventa il galoppo di un’amazzone, spunta la questione escatologica del “problema europeo”, ormai si vola altissimo, si fanno grandi teorie orbitali e viene citato en passant “il pianeta terra”, e “questa è una realtà con cui dobbiamo fare i conti”, gli applausi scrosciano come l’acqua di un impianto di irrigazione a spruzzo (saranno in tutto dodici), e ci sono “diritti fondamentali” e “noi siamo bene in regola”, le labbra virano verso una declinazione di quasi-dolore, la narrazione sembra sciogliersi in pianto, siamo alla commozione (cerebrale), ma torna con forza l’onda d’urto della ragione cartesiana ed ecco affiorare come un sottomarino nucleare tra i ghiacci “il pacchetto”, la “logica”, e l’Ungheria del 1956, perché “oggi fa veramente male” e “non sono d’accordo Floris” perché qui la faccenda “non è tra buoni e cattivi”, ma bisogna “rispettare il diritto e la Costituzione”, evvài con il “bisogno del meglio” e no, eh, la politica da “studio televisivo” no. Floris prova a difendere la baracca catodica, ma niente da fare, Laura è un fiume in piena, fusione fredda di Podemos, quel che resta di Sel e Alexis Tsipras alla carbonara.

Per fortuna di Renzi non c’è lei alla presidenza del Senato. Perché se Grasso allude, Boldrini illude. A Montecitorio, sanno bene di cosa si tratta, un’ipnosi continua di discorsi, inaugurazioni, interviste, presenze calibrate, drink, foto e video archiviati nei server del Parlamento, i gigabyte della vanità, il big data della futilità. Mentre scrivo, Laura ha già superato il mio conteggio dell’opera omnia che era arrivato a quota 170 occasioni imperdibili, file cliccabili e indimenticabili. La realtà è inarrestabile, domani la Boldrini sarà alle 16 al concerto della banda dell’Esercito Italiano e un’ora dopo al concerto della pianista Luciana Canonico. Musica, maestro! Rulli di tamburo, trombe e melodie alle cinque della sera, mentre infuria la battaglia del Senato e là, a pochi metri da Montecitorio, c’è Palazzo Chigi e l’ombra del segretario fiorentino, Matteo Renzi e no, dai, l’ha detto anche Massimo D’Alema che “la scissione non ci sarà” e certo, vi capisco, Laura non era così, era diversa… e poi ha l’ambizione sfrenata di chi non ha partito, ma se l’avesse, il partito, una piccola armata… no, non succederà, lei, Laura, balla da sola. Ieri l’Onu, poi Sel, oggi la Presidenza e domani si vedrà. E’ l’ora del concerto, “le campane d’arsenico e il fumo / alle cinque della sera”. Laura prende il taxi, non bada al tassametro, scende a fine corsa e ne attende un altro. A non rivederci, boys. Senza una lacrima sul viso

Categoria Italia

COMMENTI

1-      Giovanni Attinà • 2 ore fa

Laura Boldrini, da "suffragetta" morigerata e dimessa nell'organizzazione Onu a impegnata politicamente a sinistra, con tanto di poltrona.

2-      franco bolsi • 2 ore fa

La Boldrini è figura dello sfascio istituzionale. Oddio vi sono altri responsabili, ma lei è perfetta per incarnare quel ruolo. Un ruolo che dovrebbe essere silenzioso “Tutta camera e casa”. Esternazioni prossime allo zero, come ai vecchi tempi. E’ come imporre nella terza carica dello stato Borghezio, Grillo o Vauro. Difficilmente

resterebbero zitti. Casini che non amo per nulla fu un buon presidente della

camera, ma aveva una scuola di tutto rispetto. Questa raccoglitrice di riso è

la mondina dell’ovvio, la quintessenza del nichilismo multiculturale. Che si

sposi un miliardario saudita o un fazendero del caffè che ce la porta via. Ringrazierò per sempre Bersani e oltre la metà del parlamento che l’ha voluta. E’ curioso come i mammasantissimi della costituzione semi repubblicana riescano a fare così tanti danni pensando di far bene. Antropologie diverse, non c’è altra

spiegazione.

3-      Roberto Fedi • 2 ore fa

E' il nulla vestito di retorica (scarsa, per altro: alla papa Francesco, più o meno). Il giorno che se ne andrà. spero presto, basteranno un paio di mesi per dire "Boldrini chi?".

4-      Moreno Lupi • 2 ore fa

Al direttore - Mario Sechi pennella da maestro, io da poveruomo sintetizzo: quello della gentile Laura è il classico percorso psico/fisico che conduce alla tossico dipendenza politica. Inizia col primo spinello, con la convinzione di poterlo controllare e lasciarlo in ogni momento; è la presunzione di credersi forte, libero e razionale. Ma quando il primo spinello accende la fiamma del suo ego e alimenta le sue pulsioni moralistiche d'onnipotenza, non c'è scampo, diventa vittima consenziente degli spacciatori e, si fa a tua volta spacciatore. Niente di nuovo, di cui scandalizzarsi: la carne è debole. E altre carni deboli, opportuniste e parassite, tengono bordone, seguono e danno al malcapitato, usandolo spregiudicatamente, la sensazione, fasulla, di essere un fattore decisivo. Poi ... due esempi tra i tanti: Fausto Bertinotti, Gianfranco Fini.

5-      Andrea Calcagno • 3 ore fa

Alle più alte cariche dello Stato si accede per aver svolto un ruolo di prestigio nelle istituzioni o nella politica. Questo è il requisito minimo. Non si arriva così in alto per essere insigniti di chiara fama.

Prima che Vendola la scegliesse a questo scopo, nessuno degli italiani aveva sentito parlare della signora Boldrini, fosse pure per criticarla. Altrimenti, il nostro concittadino che prese in giro l'occupante la terza poltrona dello Stato avrebbe evitato qualche espressione, magari, poco felice di libertà per vedersi presentare alla porta di casa la polizia. Mentre la Boldini medesima recapitava avvertimenti al nostro Paese per conto dei suoi Grandi Elettori: se l'ltalia vuole essere aiutata sull'immigrazione, deve cedere sovranità all'Ue. Quindi, il rimpianto di chi la conobbe ai bei dì è ben poca cosa rispetto al disappunto - chiamiamolo così - di chi avrebbe fatto volentieri a meno di sapere chi è la Boldrini.

6-      GAETANO TURSI • 3 ore fa

E’ il vezzo degli italiani “migliori”.

Perfettisti (per dirla con Rosmini), neo - gobettiani avversi all’ethos cattolico (per dirla con Introvigne), lettori tardo serali del maestro di Konigsberg (per dirla con Eco) o neo - azionisti (per dirla con Ferrara) che siano, tutte queste belle icone della (propria) “libertà di pensiero”, sono talmente innamorate di sé stesse da non contemplare nel proprio vocabolario la declinazione in prima persona del verbo: “sbagliare” (e come potrebbero, essendo la propria missione quella di “rieducare” nientedimeno che un popolo?).

Ma Lei, Direttore Emerito, che con i “migliori” non ciazzécca (direbbe - e scriverebbe - Di Pietro), perché non lo ammette? Perché non rettifica? Perché non lo scrive che: “Con la Boldrini ho sbagliato” (ma andrebbe bene anche “ho esagerato”)? Di Lei scrisse che non è “imbruttita dall’ideologia, dal ghigno

femminista delle disprezzatrici d’uomini” e che non ha “l’aria petulante dell’intellettuale” né “la frivolezza radical chic” di certe improbabili femmine

gosciste. Di Lei scrisse: “magnifica”. “Magnifica” no. "Magnifica" proprio no. La prego, rettifichi. "Non era così", l'incipit del bravissimo Mario Sechi, non può essere sufficiente.

7-      Moreno Lupi  GAETANO TURSI • 2 ore fa

Forse non ha afferrato che quella di Giuliano Ferrara era semplice, visiva "attrazione carnale". Niente di scandaloso, forse un po' peccaminoso per le anime belle, ma niente più. Non potendo scrivere: "Ma quanto sei bbona, andrei pazzo per un paio di notti d'amore sfrenato con te", s'è rifugiato nell'aulico. Però, se si sa "leggere" l'elefantino, lo si capiva bene. "Magnifica" stava per "magnafica". Non esistono, neppure giornalisticamente, i termini per rettificare.

8-      Gesuino Mattana • 5 ore fa

Grazie direttore, un pezzo da incorniciare. Mi domando con quale faccia Bersani abbia il coraggio di presentarsi nelle aule che ha cosi violentemente oltraggiato. Il principe del vuoto e questa madinnina infilzata.

9-      Franco Bonavia • 5 ore fa

Donna e originaria di Iesi tutti si aspettano che abbia appreso i fondamentali

del fioretto e come massima ambizione quella di incrociare le lame col resto del mondo. Macché, a lei il fioretto non bastava. Lei voleva la sciabola, arma che mena fendenti letali. E a Iesi, o si sceglie il fioretto o niente. Mancata per ragioni

anagrafiche l’amata Resistenza, accantonata l’ambizione di seguire le orme

delle iesine olimpiche, indossato sahariana e foulard griffati a difesa dei derelitti, è riuscita ad ammaliare Bersani (questo però non è sportivo) e scalare fino al

terzo gradino del podio, che non è bronzo olimpico, ma gli ha permesso di

colpire di punta, di taglio e di controtaglio tutti i mal calpitati dell’emiciclo che osano l’inosabile. Poteva essere una Trillini, una Vezzali o una De Francisca. Ci è andata male!

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