Debora Serracchiani, la furbetta che pensa già al dopo-Renzi e strizza l'occhio agli avversari del premier

Mentre siete ai mari o ai monti lieti e leggeri, il Palazzo romano è dilaniato da un rovello: a che gioco gioca Debora Serracchiani?

Vignetta Vincino (Il Foglio)

di Giancarlo Perna, Libero 6.8-2015

Il pappagalletto di Matteo Renzi, sempre allineata con lui, ha per la prima volta cinguettato fuori dal coro.

I fatti sono noti. La procura di Trani chiedeva al Senato l’arresto per malversazioni di Antonio Azzolini, pedissequo di Angiolino Alfano. Per la Giunta delle Immunità le condizioni per metterlo in ceppi c'erano. Ncd però non ha accettato il verdetto e chiesto che il voto decisivo in Aula fosse a scrutinio segreto. Essendo Ncd alleato essenziale, il Pd lo ha accontentato e i senatori di Renzi hanno deciso secondo coscienza.

La coscienza gli ha detto che Azzollini poteva aspettare il processo senza languire ai domiciliari e hanno respinto la richiesta dei pm. Si può discutere se a suggerire la clemenza sia stato lo scrupolo o l'interesse a tenersi buoni Alfano & soci, ma il voto è stato chiaro e la decisione saggia. Che uno su cui pende un’accusa da colletto bianco possa vivere libero finché il processo non ne stabilisca il fondamento, è regola di civiltà. In Italia però i paladini del carcere preventivo sono più numerosi degli evasori fiscali e Debora Serracchiani è tra i paladini. Dopo il voto, la deputata, vicesegretaria del Pd e Governatrice del Friuli Venezia-Giulia è sbottata: «Ci dobbiamo scusare (con gli elettori pd, ndr) perché non abbiamo fatto una bella figura». Una dichiarazione di pancia che ne ha confermato la sinistrosità congenita, di cui parleremo.

Spinta dal suo demone, Debora non ha aspettato di sapere come la pensava Renzi, contrariamente alle sue abitudini. Si è così ritrovata sullo stesso fronte degli avversari interni del premier, i Cuperlo, i Bersani e sinistri vari, tutti col pollice verso per Azzollini. Ne è nato un putiferio tale che Renzi ha preferito pensarci su due giorni. Poi ha sentenziato: «I senatori non sono i passacarte della procura di Trani». Ossia: bene hanno fatto i padri coscritti a salvare Azzollini e male Serracchiani ad aprire bocca e darle fiato.

Da una settimana, salvo errore, Debora non appare nei Tg a fare la ventriloqua di Renzi. È in punizione. Ma ha incassato bene. Non ha più insistito su Azzollini ma neppure ritrattato la sua posizione. Tace e lascia che il tempo lenisca le ferite.

Serracchiani è, come sempre, una furbona. I liberal del suo partito (tutti schierati con Renzi) la considerano una «zecca», cioè una molto di sinistra, travestita da renziana per convenienza.

La sua formazione culturale - per dire un parolone - sta tra Livia Turco e Anna Finocchiaro, senza averne però il passo. Insomma, una berlingueriana in ritardo. Vista così, la sua scantonata dalla linea ufficiale su Azzollini, è un’operazione abile e assai callida. Senza troppo rischiare -perché una dichiarazione isolata non è un delitto- la piccola Debora ha strizzato l’occhio agli anti renziani del Pd. Categoria in vasta crescita ora che la popolarità del fiorentino è in calo. Per la previdente Serracchiani un’assicurazione sulla carriera, se mai il leader pro tempore dovesse sfumare all'orizzonte, emulando Enrico Letta.

La tattica rientra nelle pulsioni della Nostra quarantaquattrenne, beniamina di Repubblica e collaboratrice del Fatto quotidiano. La ragazza -viene da chiamarla così a dispetto degli anni, per il viso a mela e la coda di cavallo- è molto attenta ai rapporti di forza e pronta al salto della quaglia.

Se qualcuno le rimprovera i voltafaccia, lei lo rintuzza dicendo «non bado al capello» e fa un’alzata di spalle.

Debora passò dall’inesistenza alla notorietà il 21 marzo 2009. Alla guida del Pd c’era Dario Franceschini la cui leadership zoppicava. Quel giorno, non sapendo che fare, aveva riunito a Roma l’Assemblea dei Circoli Pd. Sul palco salì la segretaria del partito di Udine. Nessuno l’aveva mai vista né immaginava che di lì a poco gli sarebbe uscita dagli occhi. Era Serracchiani. Parlò a macchinetta per tredici minuti, alzando l’indice come un mullah in segno di ammonimento. Sciorinò luoghi comuni come fanno gli studenti quando gli metti un microfono davanti. Lamentò che il partito era «lontano dalla realtà», «sordo alla gente», «privo di linea». Un discorso per gonzi. Immancabili, scrosciarono gli applausi. Franceschini, che pure era il bersaglio, capì però l’antifona e batté anche lui le mani, fingendo entusiasmo. Ricordò che il predecessore, Valter Veltroni, aveva lanciato con successo un tipo simile, Marianna Madia, e volle imitarlo. Prese Debora sotto la sua ala e tre mesi dopo la candidò deputata a Strasburgo. La segretaria friulana fu votatissima ed entrò nell’empireo del Pd. È da allora che siamo subissati da sue dichiarazioni e apparizioni tv.

Ha detto di tutto. Dopo che al Cav furono scagliati in faccia tre etti e mezzo del Duomo di Milano in miniatura, le fu chiesto che regalo avrebbe fatto al Berlusca suturato. Rispose Serracchiani: «Un pensierino gentile: la Mole Antonelliana da mettere sul comodino». Alludendo che la cuspide della Mole e più appuntita e fa più male dei dentini del Duomo. Carina, neh?! «Che le manca per diventare leader del Pd?», le fu domandato in un'altra occasione. «Baffi, barba e capelli bianchi», rispose con vittimismo tardo femminista.

Rimasta in quota Franceschini finché è servito, Debora è passata armi e bagagli con Renzi appena diventò segretario. Tenendosi ben attaccata al carro del vincitore, coltiva però con cura l’elettorato proprio. Ai friulani piace molto, specie alle donne. Tanto che dopo il successo del 2009 alle europee ha fatto il bis con le amministrative del 2013, strappando la Regione ai berlusconiani, sia pure per meno di duemila voti. La cosa è tanto più singolare, in quanto Debora non è una creatura alpestre ma un’immigrata quasi terrona.

Serracchiani ha trascorso i suoi primi venticinque anni a Roma, nella cui periferia è nata. Diplomata alla scuola tecnica, si è mantenuta alla facoltà di Legge facendo la commessa e, durante un soggiorno a Londra per la lingua, la baby sitter di un maragià indiano in fasce. A Udine è approdata nel 1995 sulla scia di Riccardo, il fidanzato, pure lui romano, che lassù aveva una piccola impresa. Si sono sposati alcuni anni fa, dopo vent’anni di convivenza. Non hanno figli ma cani e gatti.

Debora è arrivata tardino alla politica. Aveva già trentasei anni quando prese la tessera ds nel 2006. Due anni dopo, era segretario del Circolo nel capoluogo friulano. L’impegno non le impediva di fare l’avvocato, il mestiere di cui campava. Specializzata in Diritto del Lavoro, era in forza nello studio cittadino più in -Businello, Virgilio, De Toma- consulente della Cgil e salotto del radicalismo chic locale. Non è poco, tenuto conto dell’alta considerazione che l’avvocatura gode a Udine, patria di quel monumento del Foro che fu Francesco Carnelutti.

Ignoro se Serracchiani fosse un avvocato di talento. Temo però che non sia un politico di genio. Domanda: valeva la pena lasciare tutto per fare il Cocorito di Renzi?

Categoria Italia

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