Congresso Pd. Schlein medita sul congresso anticipato: terremoto al Nazareno dopo la disfatta del referendum

Categoria: Italia

sarebbe la stessa Elly Schlein a pensare a un congresso anticipato «per isolare i riformisti».

Aldo Torchiaro 12 Giugno 2025 alle 09:43 ilriformista.it lettura3’

La disfatta referendaria può rivelarsi molto peggiore di quel che sembrava. Il Pd si ritrova a fare i conti con se stesso. E la parola congresso, grande tabù degli ultimi due anni, torna a farsi sentire. Se per Pina Picierno, intervistata dal Riformista, «Siamo davanti alla necessità di rivedere tutto, e serve la capacità inclusiva dei riformisti», nelle chat del Nazareno il tema della verifica interna è più presente che mai. Per frenarla, gli spifferi della direzione Pd prendono mille rivoli. Arrivano ai giornali veline di retroscena: sarebbe la stessa Elly Schlein a pensare a un congresso anticipato «per isolare i riformisti».

Pd, l’aria non è esattamente quella sbandierata sui social

Qualche penna che segue da vicino i dissidi dem – si distingue, tra gli altri, David Allegranti – ironizza: «A isolare i riformisti del Pd ci ha già pensato ampiamente il presunto capo della presunta opposizione interna, Stefano Bonaccini». Noi dalla redazione abbiamo provato a chiedere pareri e commenti a una quindicina di esponenti dem, purtroppo senza successo. «Oggi non posso proprio», «Meglio di no, ora non parlo», ci sentiamo rispondere da tutti. L’aria non è esattamente quella sbandierata sui social, della grande vittoria dei quattordici milioni di elettori. La conta delle pere con le mele, moltiplicate come se fosse antani, non convince evidentemente nessuno nemmeno nel partito stesso. E figurarsi fuori. Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr al parlamento europeo, taglia corto: «Questo referendum è stato voluto dal Pd, contro un’altra parte del Pd. Con la partecipazione di Conte e Fratoianni. Praticamente era un congresso della sinistra».

Altri tempi, alti numeri

Piercamillo Falasca, che dopo anni di impegno in +Europa ha dato vita a L’Europeista, è lapidario: «Ad oggi il cosiddetto campo largo non è semplicemente invotabile in campo economico, è anche pericoloso in ambito geopolitico e internazionale». Claudio Petruccioli, dall’alto della sua esperienza, ricorda: «Il referendum sulla scala mobile (1985) segnò una dura sconfitta politica per il Pci con conseguenze profonde e durature In quella circostanza il SI ebbe il 45,68%: 4 milioni di voti in più di quelli del Pci alle europee dell’anni prima e 3 milioni in più del record del 1976». Altri tempi, altri numeri. Servirebbe una prova di umiltà, o anche solo un esercizio di verità. «Elly, basta. È ora di dire, e di dirsi, la verità: il referendum è stata una sconfitta per i promotori e per i sostenitori, tra questi in primo luogo per il Partito democratico, e dunque per lei. Va chiamata così, sconfitta, senza grottesche edulcorazioni che risultano proprio sul filo come quella secondo cui i Sì sarebbero stati di più degli elettori della destra: peraltro era un calcolo ridicolo. Solo se si premette la parola sconfitta, usata mille volte dalla sinistra, talora persino con qualche drammatizzazione eccessiva, si può ragionare sul da farsi.

Un ragionamento sul futuro

Una dirigente seria fa così», dice dalle colonne di Huffington Post il giornalista Mario Lavia, già vicedirettore di Europa. Prova a guardare avanti un compagno di viaggio del Pd di questi ultimi tempi come il segretario del Psi, Enzo Maraio. «Archiviata la battaglia sul referendum, sfida importante che rivendichiamo, è il tempo della riflessione, il dato finale deve spingerci ad una considerazione: serve rilanciare la coalizione. Sulla battaglia referendaria, l’errore di alcuni, è stato quello di costruire – attorno alla battaglia – un recinto. Non è stata sufficiente l’azione di allargamento. L’idea del ‘cuore dell’alleanza’, che alcuni immaginano Pd M5S e AVS, rischia di non essere sufficiente. È stato un errore politicizzare l’appuntamento su questa narrazione, rischia di essere un limite per il futuro». E già qui si apre un ragionamento sul futuro. L’analisi della sconfitta serve – quando si fa per bene – proprio a correggere la rotta per evitare errori futuri. Il leader di Noi Moderati, Maurizio Lupi, gioca con fairplay: «Non dobbiamo uscire rafforzati perché la sinistra viene sconfitta da un referendum che la travolge. Il nostro rafforzamento è nella sfida dell’azione del governo». Con questo Pd a fare da perno nel centrosinistra, pochi dubbi sulla lunga e solida tenuta della maggioranza.