Giunti a metà legislatura s’inizia a discutere di come la maggioranza cambierà la legge elettorale. Non è normale che sia normale,
Francesco Cundari 6 Maggio 2025 linkiesta.it lettura2’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Da diversi giorni, su tutti i principali quotidiani, si possono leggere dichiarazioni e retroscena su come la maggioranza intenda cambiare la legge elettorale, con le relative prese di posizione dei diversi partiti e dei commentatori, come se tutto questo fosse normale. Del resto, siamo arrivati ormai, mese più mese meno, a metà legislatura, e questo è esattamente quello che è sempre accaduto, in ogni legislatura, da circa trent’anni: che prima di ogni elezione la maggioranza uscente tenti di (e spesso riesca a) cambiare la legge elettorale. In questo senso, dunque, è normalissimo.
Il punto è che non è normale che sia normale. Eppure sembra che nessuno ci trovi nulla da ridire. Ogni tanto l’opposizione protesta – neanche sempre, più spesso il partito principale dell’opposizione preferisce cercare un accordo con il primo partito della maggioranza, a danno dei rispettivi alleati – ma è una protesta poco credibile, anzitutto per i suoi stessi promotori, che hanno fatto altrettanto il giro precedente e non vedono l’ora di riprovarci il giro successivo.
Come al solito, la discussione non tenta nemmeno di nascondere le ragioni dell’intervento: si parla di cancellare i collegi uninominali e inserire il nome del candidato premier sulla scheda semplicemente perché in questo modo per le opposizioni sarebbe più difficile unire le forze e il centrodestra partirebbe avvantaggiato. È uno spettacolo che caratterizza di solito le democrazie più fragili, nei paesi in via di sviluppo, laddove regole e consuetudini della democrazia liberale non sono state ancora sufficientemente interiorizzate dalle élite politiche e dalla società civile.
Il fatto poi che in tal modo, per via di una legge ordinaria approvata a maggioranza, si pensi di surrogare una riforma costituzionale che non si ha la forza di approvare secondo le regole, quella del premierato, dà la misura della gravità della situazione. D’altra parte è dalla sciagurata stagione referendaria degli anni Novanta che la sinistra si illude di ridisegnare le istituzioni attraverso scorciatoie plebiscitarie e finisce sistematicamente, ma non sorprendentemente, per spianare la strada al populismo della destra, da Berlusconi a Meloni.
Il Melonellum di cui si sta discutendo ora è l’ultimo regalo di questa spirale autodistruttiva, che si potrà fermare soltanto quando ci decideremo a dichiarare chiusa la stagione degli apprendisti stregone, con la loro ossessione regolistica, per mettere la parola fine a trent’anni di bipolarismo maggioritario e tornare a un sistema compiutamente proporzionale, senza premi di maggioranza e senza coalizioni pre-elettorali.