C’è un filo sottile, quasi invisibile, che lega la Bretagna all’Iran, un filo fatto di ingranaggi, viti e componenti aeronautici. E quel filo, oggi, è finito sotto la lente..
28.3.2025 Giuseppe Gagliano insideover.itlettura3’
C’è un filo sottile, quasi invisibile, che lega la Bretagna all’Iran, un filo fatto di ingranaggi, viti e componenti aeronautici. E quel filo, oggi, è finito sotto la lente dei servizi segreti delle dogane francesi. Almo Aero, un’azienda subappaltatrice con sede in quella terra di scogliere e mare mosso, è al centro di un’indagine che scuote non solo il settore aeronautico ma anche il fragile equilibrio delle relazioni internazionali. L’accusa? Aver esportato componenti verso l’Iran, pezzi che, secondo le autorità, sarebbero stati usati per costruire droni, violando così le rigide normative dell’Unione Europea.
Non è una storia da film di spionaggio, ma potrebbe diventarlo. Almo Aero non è un colosso come Airbus o Dassault, ma una realtà più discreta, un tassello di quel mosaico industriale che tiene in piedi la filiera aeronautica francese. Eppure, il suo caso mette a nudo una questione che va oltre i confini della Bretagna: fino a che punto le aziende europee, strette tra profitti e sanzioni, riescono a navigare nel mare tempestoso delle restrizioni imposte a Teheran?
Le normative UE, in linea con le pressioni americane, vietano la vendita di tecnologie che possano rafforzare le capacità militari iraniane, soprattutto in un momento in cui i droni di fabbricazione persiana fanno parlare di sé, dal Medio Oriente all’Ucraina. E qui sta il nodo: i componenti esportati da Almo Aero, apparentemente innocui nella loro natura tecnica, sarebbero finiti in un ingranaggio ben più grande, quello della macchina bellica iraniana. Non si parla di missili o caccia, ma di droni, armi low-cost che stanno cambiando le guerre moderne.
L’indagine delle autorità francesi
Le autorità francesi non hanno ancora reso pubblici i dettagli dell’indagine, ma il sospetto è chiaro: Almo Aero avrebbe aggirato i controlli, forse consapevolmente, forse no. È un copione già visto, quello di aziende che, per inseguire contratti o mantenere la competitività, finiscono per inciampare nelle maglie delle sanzioni. Ma c’è di più. Questo caso arriva in un momento delicato: da un lato, l’Iran è sotto il fuoco incrociato delle nuove sanzioni USA, con l’amministrazione Trump decisa a strangolarne l’economia; dall’altro, l’Europa cerca di salvare quel che resta dell’accordo sul nucleare del 2015, il JCPOA, pur mantenendo una linea dura sulle violazioni.
E allora viene da chiedersi: chi controlla davvero? Le dogane francesi, con i loro agenti zelanti, o il mercato globale, che spesso ride delle regole scritte a Bruxelles e Washington? Almo Aero non è la prima e non sarà l’ultima a finire sotto i riflettori. Ricordate il caso di Total, accusata anni fa di aver flirtato con Teheran nonostante gli embarghi? O quello di alcune banche europee, multate per aver gestito transazioni sospette? È il gioco delle parti: gli Stati scrivono leggi, le aziende cercano scappatoie, e l’Iran, nel frattempo, continua a tessere la sua rete.
La Bretagna, con i suoi venti e le sue fabbriche, diventa così lo specchio di un paradosso. La Francia, paladina dei diritti e della diplomazia europea, si ritrova a fare i conti con i propri scheletri. E mentre l’indagine va avanti, una cosa è certa: i droni iraniani continueranno a volare, con o senza i pezzi di Almo Aero. Perché in questo mondo di ombre e sanzioni, la tecnologia trova sempre una strada. Resta da vedere se la troveranno anche i funzionari di Parigi per spiegare come, ancora una volta, il sistema abbia fatto cilecca.