Disarmiamoci e partite. La sinistra riformista è morta, ora non ci resta che Kamala

Una capitolazione al populismo che è solo l’ultima di una lunga serie, ma anche la più infamante di tutte, scrive Francesco Cundari nella newsletter

20.9.2024 La Linea Francesco Cundari, linkiesta.it lett3’

Come largamente anticipato da tutti i giornali (e di conseguenza anche qui), ieri si è compiuta, con il voto del Parlamento europeo sulla risoluzione che chiedeva di allentare le restrizioni all’uso delle armi ucraine in territorio russo, la definitiva fuoriuscita dell’Italia dalle coordinate della politica europea e occidentale.

Unico paese in cui tutti i principali partiti, al governo come all’opposizione, dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per gli estremi qualunquisti del Movimento 5 stelle, si sono schierati in un modo o nell’altro contro la decisione assunta dalle maggiori famiglie politiche dell’Unione europea, e passata ovviamente a larghissima maggioranza.

Tralascio la triste contabilità dei comportamenti di voto, tra astensioni, non partecipazione, distinzioni di lana caprina tra voto sul singolo articolo e voto sul testo che lo contiene. E non voglio neanche infierire su quegli esponenti del Pd che i giornali chiamano «riformisti», i quali, pur essendo appena stati eletti al parlamento europeo, a una votazione di tale importanza (la risoluzione non era vincolante, certo, ma aveva un valore e un peso politico evidenti in un momento simile) hanno giustificato la propria assenza con improrogabili «impegni istituzionali» o simili amenità. Non infierisco perché, con quest’ultima capitolazione al populismo, l’ultima di una lunga serie, ma anche la più umiliante e infamante di tutte, all’insegna del motto «disarmiamoci e partite», mi pare evidente che della sinistra riformista non resti più nulla.

Ancora una volta, purtroppo, Marco Tarquinio, l’ex direttore di Avvenire contrario all’invio di armi all’Ucraina tout court, oltre che alle unioni civili e all’aborto, eletto dal Pd al parlamento europeo come una sorta di indipendente, ha pienamente ragione, dal suo punto di vista, nel sottolineare sulla Stampa l’ennesimo passo compiuto da tutto il partito nella direzione da lui indicata (sull’Ucraina, s’intende).

Per carità, dai tempi dell’intervento militare in Kosovo nel 1999, con il governo D’Alema, fino alla guerra in Afghanistan nel 2001, ci sono sempre stati nella sinistra correnti, leader sindacali, giornalisti e intellettuali anche autorevolissimi che sostenevano più o meno le cose che sostiene Tarquinio (sempre sulla guerra, s’intende: per quelle su omosessuali e aborto avremmo dovuto aspettare la nascita del Pd). Ma erano, per l’appunto, posizioni minoritarie, più che legittime e anche molto autorevolmente rappresentate, spesso sovrarappresentate, specialmente nel mondo della comunicazione e dello spettacolo, che comunque non cambiavano la traiettoria di fondo, coerente con il lungo e faticoso processo di europeizzazione della sinistra post-comunista. E stiamo parlando di crisi assai più complicate e di scelte ben più dolorose e controverse di quelle di oggi. Non si parlava di mandare armi e aiuti, ma aerei e soldati. Non si discuteva di inviare soldi e solidarietà, o semplicemente di consentire ad altri di difendersi come ritenevano, ma di intervenire direttamente, in contesti peraltro complicatissimi. Persino sulla sciagurata guerra americana in Iraq, nella sinistra riformista, erano in parecchi a spingere in direzione, se non proprio di un appoggio, quanto meno di un atteggiamento più aperto alle argomentazioni dei fautori dell’ingerenza umanitaria e democratica, per dir così.

Non mi interessa ora riaprire la discussione su ciascuna di quelle difficili scelte (la mia personale posizione era ed è rimasta favorevole su Kosovo e Afghanistan, contraria sull’Iraq), ma solo far notare come persino sui temi cruciali della politica internazionale, della guerra e della pace – la visione del mondo, in tutti i sensi – quel lungo processo di europeizzazione, modernizzazione, maturazione della sinistra post-comunista, con tutto il suo patrimonio di credibilità e capacità conquistate sul campo, non sia stato semplicemente fermato, sperperato al casinò degli accordi a ogni costo con i populisti grillini. Le cose sono andate ben oltre. Siamo ormai dinanzi a una chiara inversione di rotta, del resto pienamente coerente con quella dell’intero sistema politico italiano, dentro un’Europa che per fortuna, come dimostra proprio il voto di ieri, riesce ancora a resistere alle analoghe correnti populiste che attraversano il mondo, ma chissà per quanto. Specialmente se alle elezioni americane di novembre a vincere dovesse essere Donald Trump.

Non ci resta che pregare per una vittoria di Kamala Harris, per potere almeno sperare che la situazione resti la tragedia che è già, e non peggiori in modo inimmaginabile.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno.

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