La fallacia oscurantista: dove sbagliano i nemici del merito – In esclusiva un estratto dal nuovo libro di Luca

Molti non sanno quanto sia debole la corrispondenza fra classe di origine e risultati scolastici. . O quanto numerosi siano i ragazzi poveri che vanno bene a scuola e i ragazzi ricchi che vanno male

11.9. 2023 – Luca Ricolfi di fondazioneHume.it lettura4’

Qualcuno potrebbe pensare che l’ostilità che il dibattito pubblico riserva al merito sia soprattutto il risultato di credenze errate o indimostrate. Molti non sanno quanto sia debole la corrispondenza fra classe di origine e risultati scolastici. O quanto numerosi siano i ragazzi poveri che vanno bene a scuola e i ragazzi ricchi che vanno male. O quanta importanza abbia l’impegno negli studi.

Più in generale, molti adottano una visione alquanto determinista della vita sociale, che sottovaluta i gradi di libertà dell’individuo, e amplifica i condizionamenti dell’origine sociale, del corredo genetico, delle circostanze della vita.

Ma è solo questo?

No, se vogliamo capire fino in fondo perché a tanti l’idea di premiare i capaci e meritevoli non piace, o addirittura suscita un moto di ribellione, dobbiamo cercare di entrare nella testa dei detrattori del merito. Dobbiamo provare a ricostruirne la logica. Perché una logica esiste. È una logica sbagliata, ma è comunque una forma di ragionamento.

Possiamo riassumerlo così:

1 – i capaci e meritevoli, proprio perché sono tali, hanno meno bisogno di aiuto;

2 – chi ha veramente bisogno di aiuto sono i ragazzi in difficoltà, ossia i non capaci e meritevoli;

3 – se aiutiamo i primi, senza aver prima aiutato i secondi, amplifichiamo le diseguaglianze.

4 – quindi lo svolgimento dei programmi scolastici va tarato sui ragazzi in difficoltà.

Di qui due idee, entrambe risalenti a don Milani. Prima idea: la classe deve stare ferma “finché Gianni non ha capito”. Seconda idea: occuparsi dei capaci e meritevoli significa fare della scuola “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Non fa una grinza, apparentemente. Ma è radicalmente sbagliato, oltreché alquanto oscurantista. Ragionare così significa non aver compreso come funziona la macchina della disuguaglianza.

Qual è la fallacia logica?

La fallacia di base è di trattare quel che accade nel piccolo cosmo della classe come se fosse una versione in scala ridotta di quel che succede, o meglio di quel che succederà, nel più vasto mondo della società. Certo, fermare la classe in attesa di Gianni, a prima vista parrebbe ridurre la distanza fra Pierino e Gianni. Ma che succederà poi?

Poi succedono fondamentalmente due cose, una fra i ragazzi capaci e meritevoli, l’altra fra quelli che non vanno bene negli studi. Due gruppi che, è bene ricordarlo, non sono costituiti in blocco l’uno da ricchi e l’altro da poveri, ma contengono entrambi, sia pure in proporzioni diverse, ragazzi di estrazione sociale bassa e alta.

Ebbene, nel gruppo dei capaci e meritevoli, succede che il mancato sostegno economico a quanti sono “privi di mezzi” (ossia la mancata attuazione dell’articolo 34) fa un enorme favore ai cosiddetti pierini. Buona parte dei bravi a scuola poveri, infatti, rinuncerà ai percorsi di studio più prestigiosi (licei) e più lunghi (università e dottorato), permettendo ai pierini, che hanno mezzi economici e conoscenze familiari, di fare la loro corsa indisturbati, senza la fastidiosa concorrenza dei capaci e meritevoli provenienti dai ceti medio-bassi. La classe dirigente continuerà a formarsi attingendo quasi esclusivamente dai ceti privilegiati, in aperto contrasto con i sogni egualitari dei Padri costituenti.

E nel gruppo dei non capaci e meritevoli, che succederà?

Anche qui, come sappiamo, ci sono sia ragazzi dei ceti bassi (circa 2 su 3), sia ragazzi dei ceti alti (circa 1 su 3). Ebbene, il fatto che la classe sia stata ferma, e abbia imparato meno del dovuto, produrrà effetti di segno opposto ai due estremi della scala sociale. I figli dei ceti medio-alti andranno avanti a dispetto di tutto, perché il deficit di preparazione verrà compensato dalle risorse familiari: reddito, ricchezza, ripetizioni private, possibilità di prolungare indefinitamente gli anni di studio; e poi, sul mercato del lavoro, la preziosa risorsa delle conoscenze familiari. Mentre i figli dei ceti medio-bassi, le cui uniche risorse sono la conoscenza e la preparazione, pagheranno carissime le lacune e i deficit accumulati nei primi cicli di studio. Se, dopo l’obbligo, realisticamente intraprendono un percorso di studio breve, finiranno per doversi accontentare di occupazioni modeste, precarie o mal pagate. Se ne intraprendono uno lungo e/o impegnativo, correranno il rischio di interrompere prematuramente gli studi per mancanza di basi adeguate. Perché la scuola senza qualità, rinunciando a tenere alto per tutti il livello degli studi, ha tolto loro l’unica arma con cui avrebbero potuto misurarsi alla pari con i figli dei ceti medio-alti.

Ironia della sorte, è quel che capitò a suo tempo a diversi allievi di don Milani. Non tutti lo sanno o amano ricordarlo, ma Lettera a una professoressa venne scritto per vendetta, per punire una insegnante che, a causa della loro impreparazione, aveva respinto alcuni allievi di don Milani.

Come si vede, in entrambi i gruppi, quello dei bravi e quello dei non bravi, la linea di ragionamento anti-merito può avere effetti egualitari all’interno del micro-cosmo della classe – perché nessuno è bocciato e i bravi sono abbandonati a loro stessi – ma ne ha di drammaticamente disegualitari nel vasto mondo della vita adulta.

Pensare che quel che accadrà nella vita sia una sorta di proiezione o estrapolazione di quel che accade all’interno della classe è la fallacia logica fondamentale della guerra contro il merito. Una fallacia che, inevitabilmente, conduce a esiti oscurantisti.

Oscurantista è non riconoscere il merito dei bravi a scuola, e rinunciare a sostenerli negli studi quando sono “privi di mezzi”. Ma oscurantista è anche pensare che, per quelli che bravi a scuola non sono, la via maestra non sia quella di seguirli, aiutarli, supportarli fino a fargli raggiungere un livello di preparazione adeguato, ma sia quella di abbassare gli standard. Queste due rinunce, a sostenere economicamente i più bravi, e a elevare culturalmente i meno bravi, sono gli ingranaggi fondamentali della macchina della disuguaglianza.

[estratto dal libro La rivoluzione del merito, Rizzoli 2023]

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