Giustiziami. 2.10.2015 Cronache e non solo dal Tribunale di Milano
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La decisione del giudice arriva ai legali 5 anni dopo con la posta elettronica
Col formidabile acceleratore della Pec – fulmineo acronimo che sta per Posta Elettronica Certificata e rimanda a un mondo ideale di giustizia senza carta - viene recapitato oggi in uno studio legale milanese l’avviso che il dieci novembre 2010 il Tribunale di Milano (in funzione di giudice del Riesame) si è pronunciato respingendo l’istanza di scarcerazione di un detenuto per reati fiscali.
“Ora potremmo fare ricorso in Cassazione contro questa decisione”, ironizza uno dei difensori. Per fortuna, la giustizia degli uomini va più veloce di quella divina e anche di quella digitale. Così, G.B., arrestato e portato a San Vittore nel 2010, ha patteggiato nel dicembre 2010 tre anni e quattro mesi di carcere e poi gli sono stati concessi i domiciliari. Ha fatto in tempo anche a operarsi al cuore (quando era ancora in carcere) e a fare chissà quante altre cose mentre la Pec percorreva il suo onirico viaggio dalla cancelleria del Tribunale allo studio legale. (manuela d’alessandro)
30 settembre 2015 at 13:54
Il giudice spedisce i legali in camera di consiglio per chiudere la ‘partita’ tra blogger e Canalis
“Vi chiudo dentro e butto le chiavi”. Qualche avvocato fa il muso lungo di chi proprio non desidera violare la sacralità di quella stanza di solito riservata alle elucubrazioni dei giudici prima di una decisione o di una sentenza. Ma poco ci manca che lo spiritoso giudice Stefano Corbetta, accompagni i riottosi uno per uno e per mano nella sua camera di consiglio: i legali di Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Gianluca Neri alias Macchianera, accusati a vario titolo di avere rubato e spiato foto di vip, e quelli delle loro presunte vittime, Elisabetta Canalis, Federica Fontana e Felice Rusconi (rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini).
Questo processo non è solo una tenzone tra i blogger più cliccati della rete e la ex di George Clooney la cui mail sarebbe stata monitorata per mesi sino al ‘furto’ delle foto del suo 32esimo compleanno a Villa Oleandra. E’ anche una sfida aspra tra alcuni dei legali milanesi più quotati nell’ambito del diritto informatico e delle diffamazioni (Caterina Malavenda, Giuseppe Vaciago, Marco Tullio Giordano, Barbara Indovina).
Così quando il magistrato con tono pacioso chiede se ci siano stati tra la prima udienza di giugno e quella di oggi “contatti tra gli avvocati” per trovare un accordo su un eventuale risarcimento a favore delle parti civili, le toghe si raggelano. “Se vi congedo ora – insiste Corbetta di fronte al silenzio che accompagna la sua domanda - so già che non parlerete tra voi. Allora andate adesso nella mia camera di consiglio e provate a vedere se ci sono margini effettivi di manovra”. Uno dei legali del fronte imputati brontola: “Se proprio dobbiamo perdere mezz’ora…”.
L’inedita camera di consiglio si svolge in un clima polare, le parti sono distanti e gli stessi avvocati della difesa non appaiono compatti sulla strategia. Alla fine i legali escono dal ‘retrobottega’ del giudice senza un’intesa ma promettono di contattare i loro assistiti per valutare se ci siano le condizioni per chiudere almeno la parte del processo che riguarda ipotesi di reato nate da querela. Il giudice ci riprova : “Qualora fosse trovato un accordo, è chiaro che nel caso di un’eventuale condanna terremo conto del comportamento processuale”. Altrimenti, alla guerra. Nella sua lista dei testimoni la parte civile ha messo anche il direttore di ‘Chi’ Alfonso Signorini al quale Lucarelli propose (se a pagamento o no, lo stabilirà il giudice) le fotografie di Villa Oleandra, così appetitose perché per la prima volta gli interni di casa Clooney sarebbero apparsi al mondo. (manuela d’alessandro)
28 settembre 2015 at 22:41
‘Il clima ideale’ tra Milano e la ex Jugoslavia, thriller d’esordio di Franco Vanni
E’ tutta una questione di clima per Aleksandar Jovanov. Cambia pelle, odore e perfino nome quando Franco Vanni gira la manopola della temperatura sulle pagine.
Nel clima mite della campagna elettorale serba 2012 è il candidato premier progressista “buono, sicuro, conciliante” che si fa fotografare tra i garofani. In quello acre della Bosnia orientale venti anni prima lo chiamavano Dragan ed era un criminale di guerra, stupratore e assassino “per divertimento” ma anche perché non sopportava la puzza di carogna che emanava il suo corpo fin da bambino.
Pure per Michele, trentenne di Milano coi capelli a scodella e l’ossessione dello yo – yo, è una faccenda di clima. Lobbista, il suo lavoro consiste nel creare quello “ideale” per gli interessi dei clienti, anche quando gli tocca piegare la legge. Tenero con la sola persona al mondo a cui “non saprebbe mai dire di no”. Nonno Folco, 91 anni, psichiatra di furiosa intelligenza e ironia, lo spedisce in Albania a indagare sulla vita della meravigliosa Nina, cameriera e figlia di Jovanov.
Il vecchio vuole sapere se la ragazza è così legata al padre da dispiacersi molto se lui dovesse andare a ficcare una pallottola nel cuore del futuro premier. Folco è pronto a immolarsi per evitare che il politico, i cui abomini gli sono stati svelati da un’adolescente bosniaca sua paziente, si consacri con l’elezione “paladino dei diritti civili”. Michele vola a Tirana, incontra Nina che poi scompare e da quel momento il clima del racconto impazzisce, regalando variazioni continue. Vanni, cronista giudiziario di ‘Repubblica’, ha il ritmo giusto per alternare ambienti feroci ad altri dolci. Sa quando lasciar riposare i personaggi all’ombra dei loro pensieri e quando buttarli tra i nembi dell’azione. Scrive chiaro e spedito, e la storia da tortuosa alla fine si fa semplice, come semplice ne è l’ispirazione e il senso ultimo: l’amore puro tra un nonno e un nipote. Ai nonni ‘Franco e Franco’, il giovane Franco dedica il suo esuberante esordio. (manuela d’alessandro)
25 settembre 2015 at 09:27
Cadono lastre dal soffitto del nuovo Tribunale. Un avvocato, “salva per un soffio”
“Camminavo al piano terra quando ho sentito un boato, come un colpo di pistola”. Sono le nove di lunedì mattina e l’avvocato Annalisa Premuroso sta percorrendo il corridoio della nuova palazzina del Tribunale di Milano. “Un collega, mentre ancora non mi rendevo conto di cosa fosse successo – racconta – mi avverte che è caduto a terra un pannello che si è staccato dal soffitto, che mi ha sfiorata alle spalle e non mi ha preso per un niente…”.
Se il giudice imprigionato nel bagno con la maniglia rotta aveva strappato un sorriso (qui), quanto accaduto all’avvocato Premuroso fa paura, ancor più perché la settimana scorsa era piombato dal soffitto un altro tassello. “E in quel caso non si era neppure chiuso il corridoio, come sarebbe stato logico fare. Stiamo aspettando il morto? – si chiede il legale – La lastra era molto pesante, di cemento e intonaco, se mi avesse colpito mi sarei fatta molto male”.
Oggi, invitata da un giudice, l’avvocato ha presentato una denuncia alla commissione logistica del Tribunale allegando le immagini del crollo.
Maniglie che si rompono, cellulari che non prendono, luci al neon definite “insostenibili” da chi ci lavora e adesso parte del soffitto che viene giù. Bella è bella, la nuova palazzina destinata ai processi di lavoro e famiglia, lo dicono tutti. Ma sembra la bellezza di una donna troppo truccata per nascondere imperfezioni pericolose.
Manuela D’Alessandro
24 settembre 2015 at 00:15
Il giudice imprigionato in bagno spacca la porta e i carabinieri lo verbalizzano
Eccoci nella nuova, scintillante palazzina della giustizia milanese, quella riservata ai giudici civili e del lavoro da poco inaugurata. Il giudice entra in bagno per fare la pipì e, chiudendo la porta dietro di sé, resta con la maniglia in mano. Che fa? “La pipì anzitutto e poi non mi faccio travolgere dal panico, prendo a manate la porta e urlo di venirmi ad aprire”. Non può telefonare perché i cellulari nella nuova, scintillante palazzina non prendono (l’avevamo raccontato qui). Allora si mette comodo e pensa: ‘Prima o poi a qualcuno scapperà la pipì’. Invece i suoi colleghi (il bagno è di servizio) se ne stanno tutti beati dietro alle scrivanie.
Passa mezz’ora e la pazienza si fiacca. Il giudice prende il mozzicone di maniglia e colpisce la porta che scopre essere di pastafrolla. Con due calcioni apre un bello squarcio nel ‘tamburato’.
“Stai calmo, ora ti salviamo!”, gli urlano dall’aldilà sentendo i rumori delle pedate. Dallo squarcio intravvede due carabinieri. Aprono quel che resta della porta. Neppure un secondo per rigustare la libertà che il brigadiere gli chiede i documenti e verbalizza le generalità. “Potevate almeno chiedermi come stavo…”, butta lì il magistrato. “Signore, noi facciamo il nostro lavoro…”, risponde il militare che di fronte alla porta rotta forse vola con la fantasia e pensa a un’ipotesi di danneggiamento aggravato dall’uso di una maniglia contundente. (manuela d’alessandro)
ps. qualche giorno prima una collega del giudice imprigionato aveva segnalato all’ufficio manutenzione che la maniglia era rotta.
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