Le ragioni di Davigo e la mancata autocritica dei magistrati italiani
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Ci scrive Alfredo Mantovano: "Nessun ritorno di Mani pulite dietro l’elezione del nuovo presidente dell’Anm, ma tanti punti da chiarire dentro la corporazione dei giudici".
di Alfredo Mantovano | 04 Maggio 2016 ore 15:26 Foglio
Al direttore - Qualche giorno dopo la bufera seguita all’intervista di Davigo al Corriere della Sera, è il caso di chiedersi a bocce ferme, come mai – con toni e sfumature differenti – il presidente del Consiglio, la magistratura associata collocata più a sinistra e importanti testate giornalistiche si siano trovate unite nella critica al neo presidente dell’Anm. Giova farlo per comprendere che cosa accade sulla scena politico-giudiziaria, senza rassegnarsi al remake di uno spartito semplificatorio. E senza accontentarsi della lettura da Fatto quotidiano, che all’indomani dell’elezione di Davigo inneggiava al ritorno di Mani pulite, e poneva in prima pagina la di lui immagine e a fianco quella di Paolo Ielo, neo procuratore aggiunto di Roma, e di Francesco Greco, papabile per la procura di Milano. Non so quanto ciascuno degli interessati abbia gradito, ma sono convinto che questa lettura non è quella reale.
Passiamo in rassegna personaggi e interpreti.
Produttività, corruzione e altre balle nelle ultime intemerate dei magistrati Area è il gruppo che nell’Anm riunisce le correnti storiche di Magistratura democratica e dei Movimenti. E’ presente ai vertici del sistema giudiziario ed esercita una oggettiva egemonia culturale, che ricade sulla formazione dei magistrati e sulla elaborazione di orientamenti“avanzati” sul fronte dei c.d. diritti civili, spesso sostitutivi di norme esistenti o sollecitatori verso il Parlamento: è il capovolgimento della prospettiva per la quale il giudice applica la legge. Per le c.d. unioni civili di prossima approvazione, per esempio, è il Parlamento che traduce in legge talune sentenze: si pensi alle adozioni da parte delle coppie dello stesso sesso. Nonostante la posizione di forza, Area è in calo di consensi. Perché? Perché perfino chi l’ha votata in passato oggi la percepisce come un gruppo teso più alla mediazione col Governo che alla rivendicazione; al giovane magistrato interessano fino a un certo punto i “successi” nell’affermazione di posizioni libertarie: interessano di più l’avvenuta riduzione di ferie e stipendio e la carenza di mezzi. L’atteggiamento dei leader di Area viene percepito come di sufficienza verso questi problemi, e anzi l’interlocuzione spesso diretta che il gruppo mostra di mantenere verso i vertici istituzionali viene criticata come improduttiva quanto a ricadute nell’esercizio quotidiano della giurisdizione. Area perde voti in favore di Davigo e del suo nuovo gruppo, Autonomia e indipendenza: non ci si può aspettare che lo difenda quando viene attaccato, semmai ci aggiunge il proprio carico.
La difficoltà che attraversa Area è speculare a quella del governo. Sul fronte giudiziario il presidente del Consiglio ha usato il bastone e la carota, sperando di prendere tre e pagare uno: ha adoperato la carota verso Area, confidando su un ritorno rassicurante in termini di relazioni con la categoria, e ha usato il bastone parlando di magistratura fannullona e puntando sull’effetto intimidatorio verso i giudici. Il bilancio? Area ha mostrato di non rappresentare la maggior parte dei giudici, e questi ultimi invece di sentirsi intimiditi se la sono presa. Il disorientamento è evidente anche nelle grandi testate giornalistiche, per le quali Davigo non è l’interlocutore ideale: gli danno voce – pubblicare una sua intervista fa aprire le rassegne stampa - salvo il giorno successivo impartirgli una più o meno garbata lezione di come si sta al mondo, facendo eco ai richiami dei due soggetti di cui sopra.
In questo quadro, la forza politica di Davigo sta nell’essere professionalmente inattaccabile e nell’essere percepito – quale effettivamente è – come chi la dice chiara a tutti, anche a costo di apparire scorretto. Se peraltro si legge quello che dichiara, invece delle sintesi su cui si sviluppano le polemiche, è difficile dargli torto su tutto: qualcuno vuol negare che oggi a differenza del passato la corruzione venga praticata con maggiore sfrontatezza e minore vergogna? Qualcuno dubita che la legge Severino sia un pasticcio, inefficace sul piano della prevenzione e fonte di contraddizioni sul piano della sanzione? Non è un dato obiettivo che, in proporzione alla popolazione residente, la popolazione carceraria italiana sia fra le più basse al mondo, sì che sarebbe doveroso costruire qualche istituto di pena in più invece che rendere sempre più evanescente l’espiazione della pena? E non è constatabile da chiunque entra in un ufficio giudiziario il disagio degli operatori?
Quel che renderebbe più forte la posizione di Davigo è integrarla con un’altrettanto schietta autocritica riguardante la corporazione. La percezione mediatica delle sue parole è che in un mondo di politici corrotti il solo baluardo sono i magistrati, ai quali non c’è nulla da rimproverare: non si è mai espresso in questi termini, ma tutti sono convinti che dica così. Affrontare i nodi interni alla magistratura italiana con la stessa decisione con la quale sono descritti i problemi del corpo sociale significa avere parole chiare su alcuni punti essenziali:
La responsabilità. E’ vero, come ha spiegato Davigo, che la recente legge sulla responsabilità civile ha avuto (e avrà) come esito esclusivo l’aumento del premio che ogni compagnia di assicurazione fa pagare al magistrato che la sottoscrive. Detto questo, però, non si è detto tutto. Il profilo di responsabilità su cui lavorare è quello disciplinare: ciò ripropone la questione se è giusto che il giudizio disciplinare sia reso da magistrati eletti anche col voto dei giudicandi, se cioè esso va lasciato all’interno del Csm o non vada sottratta da condizionamenti elettivo-sindacali in favore di altri organismi che diano maggiori garanzie di imparzialità; chiamare in causa la responsabilità vuol dire prendere atto che nella magistratura – come nel resto delle istituzioni – esistono aree di corruzione e aree di inefficienza, e che vanno individuati strumenti di prevenzione e di controllo interni per circoscrivere la corruzione di (pochi) magistrati e incrementare l’efficienza di tutti. A fronte degli abusi da divulgazione di conversazioni intercettate, il rimedio non è ricordare che esiste la diffamazione. Chi subisce l’abuso è in concreto senza difesa: se la propalazione viene dalle stanze di un ufficio giudiziario, chi presenterà la querela, e a chi? Il problema numero uno non è una impossibile sanzione ma una ragionevole prevenzione: è come fare perché, senza rinunciare a un importante mezzo di indagine, non si venga processati e condannati mediaticamente pur se non si è neanche parte nel procedimento.
La pretesa di affermare presunti diritti oltre o talora contro la legge in vigore. Le costruzioni giurisprudenziali che hanno condotto alla sentenza Englaro, o quelle che legittimano l’utero in affitto dopo aver consacrato la stepchild adoption, non cadono sotto la voce del giudice che applica la legge, bensì sotto quella del giudice che la inventa e la supera.
Questi, come altri punti cruciali, non dipendono dall’esterno: maturano all’interno della categoria. Prenderne atto costituirebbe un grande passo in avanti, e lascerebbero i remake solo ai cultori del genere.
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