Scontro nel governo sugli 007: la lotta al terrore
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può attendere. È emergenza, ma le beghe interne alla sinistra e l'interferenza dei magistrati costringono il governo a rinviare ancora il pacchetto sicurezza.
Gian Micalessin - Sab, 24/01/2015 - 10:09 Il Giornale
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Il terrorismo islamista avanza e ci minaccia. Il governo Renzi litiga, si divide e indietreggia. La brutale sintesi riassume la disastrosa retromarcia di giovedì quando il Consiglio dei ministri, chiamato ad approvare il decreto legge sulle nuove misure anti terrorismo ha rinviato tutto a mercoledì 28.
Un nuovo rinvio spiegato con la necessità di inserire nel decreto i capitoli sulle missioni internazionali e i relativi finanziamenti.
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La verità è però ben diversa. Da una parte, infatti, la Ragioneria di Stato nega all'esecutivo i fondi necessari a garantire la copertura del decreto. Dall'altra, governo e Partito Democratico fanno i conti con le divisioni generate dalle nuove misure antiterrorismo. In primo luogo quelle sulle immunità funzionali degli 007 e sull'instaurazione di una Procura centralizzata anti terrorismo. Misure a cui s'aggiungerebbe quella - voluta dal sottosegretario con delega ai servizi, Marco Minniti - che prevede il rilascio di permessi di soggiorno agli informatori degli 007.
Ma partiamo dai soldi. Dopo aver tagliato, alla vigilia degli attentati di Parigi, 1250 dei 4250 militari impiegati nell'operazione «Strade Sicure», l'esecutivo non sa dove recuperare i soldi per riportare in servizio quelli spediti in caserma. Anche perché i dieci milioni a disposizione bastano appena a coprire le spese dei tremila rimasti. E solo per il primo trimestre. La copertura fino a giugno prevede invece il reperimento di altri 12 milioni. Milioni che ora Renzi non sa più dove trovare. Il tema che più divide governo e Partito democratico riguarda però le nuove competenze e le nuove risorse da attribuire ai servizi segreti. Le più ampie garanzie funzionali e le nuove competenze degli 007 sono autentico fumo negli occhi per le componenti del Pd più vicine alla magistratura.
Le misure prevedono garanzie in grado di metter gli agenti al riparo da disavventure giudiziarie simili a quelle verificatesi dopo il caso Abu Omar e culminate con l'incriminazione del direttore del Sismi Nicolò Pollari e dei suoi agenti. Ad aumentare il mal di pancia s'aggiunge la richiesta di permettere agli 007 di entrare nelle carceri per interrogare i terroristi detenuti. Una misura che concederebbe agli agenti segreti prerogative e funzioni riservate fin qui solo alla magistratura. La proposta avrebbe provocato un'autentica levata di scudi e sarebbe, secondo fonti del Giornale , la principale causa del rinvio del Consiglio dei ministri di ieri.
Mentre ministri e partito di maggioranza litigano e si dividono resta inevasa anche la richiesta di garantire alla nostra intelligence più uomini e maggiori investimenti per arginare le offensive terroristiche sul territorio e nello cyberspazio. E le medesime beghe fanno rimandare anche le nuove pene previste per contrastare le attività dei volontari jihadisti e di quanti facilitano le loro partenze. In questo clima di scontro intestino resta incerta anche la sorte della Procura centralizzata antiterrorismo. Figlio di un disegno di legge dell'ex magistrato e deputato di Scelta Civica Stefano Dambruoso, il progetto di «Super procura», chiamata a coordinare le indagini antiterrorismo condotte sul territorio nazionale e armonizzare il lavoro di intelligence e magistratura, è al centro di un aspro scontro istituzionale. Il sottosegretario Marco Minniti e quanti temono indebite interferenze dei giudici, la considerano un ostacolo all'operato dei servizi. Il Viminale e la Polizia la vivono come un concorrente capace di depotenziare le proprie strutture di coordinamento. Per questo il progetto, avvallato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando rischia non pochi incidenti di percorso. Incidenti che secondo Stefano Dambruoso ci priverebbero di uno strumento indispensabile per il coordinamento internazionale. «Oggi - spiega l'ex magistrato - siamo gli unici a presentarci ai vertici internazionali con una schiera di giudici impegnati in diverse indagini sul terrorismo spesso non coordinate tra loro. Una struttura d'indagine centralizzata consentirebbe d'adeguarci agli standard internazionali e d'unificare i vari filoni d'indagini rendendo più efficace la lotta al terrorismo».