Abuso di reato
- Dettagli
- Categoria: Firme
L’assurdo caso De Luca, l’attivismo togato e una legge squinternata
di Redazione | 23 Gennaio 2015 ore 06:18 Foglio
Uno dei sindaci più popolari d’Italia, Vincenzo De Luca, primo cittadino di Salerno, è stato condannato a un anno di reclusione con la condizionale e, soprattutto, interdetto per lo stesso periodo dai pubblici uffici, in modo da costringerlo alle dimissioni e da impedirgli di concorrere alla presidenza della Campania nelle primarie democratiche che sono in via di allestimento.
Che cosa aveva combinato di così terribile? In piena emergenza rifiuti, nel 2008, De Luca, nominato commissario dal governo, conferì l’incarico di project manager di un inceneritore al suo ex city manager, mentre secondo l’accusa avrebbe dovuto nominare un coordinatore, figura che avrebbe richiesto titoli dei quali il prescelto da De Luca non disponeva. Insomma si tratta della diversa definizione di un ruolo in base a polverose normative della Pubblica amministrazione che, peraltro, solitamente in condizioni di emergenza e di commissariamento vengono scavalcate. Non si sa come andrà a finire: De Luca pensa che anche nel suo caso, come in quello di Luigi De Magistris, la condanna in primo grado non fa scattare la decadenza e che in ogni caso il Tar reintegrerà anche lui. Se fosse così, tra parentesi, si verificherebbe che la legge Severino si applica e per giunta in modo retroattivo solo contro Silvio Berlusconi. Anche per questo è insensata.
Quello che però salta agli occhi già ora è che il carattere generico del reato di abuso d’ufficio consente alla magistratura di decapitare qualsiasi detentore di cariche pubbliche, visto che nella selva inestricabile di norme si trova sempre un qualche cavillo per incriminare un amministratore impegnato a realizzare qualcosa. Naturalmente il legislatore si affidava a un minimo di buon senso nella gestione di questa norma da parte della magistratura, ma non ha tenuto conto del fenomeno dilagante della politicizzazione delle toghe, che fa sì che si trovi sempre un magistrato che o per farsi un nome o per ostilità diretta si mette a cercare l’ago nel pagliaio pur di inguaiare un esponente politico di qualche rilievo.
Nel clima di esasperata condanna generalizzata e preventiva della “classe politica” che è stato creato dallo scandalismo imperante, è difficile far prevalere il buon senso, che richiederebbe di migliorare la definizione di un reato la cui imprecisione consente un uso provocatorio e minatorio da parte della magistratura politicizzata. Così una qualsiasi iniziativa legislativa ragionevole verrebbe bollata come “salva De Luca “ o “salva chissacchì”, come se evitare abusi del potere incontrollato e incontrollabile della magistratura politicizzata fosse una specie di crimen laesae maiestatis. Perché del fatto che la sovranità appartiene al popolo e non alle toghe ci si dimentica sempre più spesso.