L’appello di Sako all’islam: prendano loro l’iniziativa
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contro la violeza
di Matteo Matzuzzi | 22 Gennaio 2015 ore 10:30
Roma. Il patriarca di Babilonia dei caldei, mar Louis Raphaël I Sako, mette i numeri davanti a ogni ragionamento: solo nei primi tre mesi in cui l’esercito nero del cosiddetto califfo Abu Bakr al Baghdadi ha iniziato la sua avanzata in Iraq a colpi di “N” dipinte sulle case dei miscredenti, e cioè tra giugno e agosto dello scorso anno, almeno 500 mila cristiani hanno abbandonato la piana di Ninive, in quello che è già stato ribattezzato come il più massiccio esodo dell’età contemporanea.
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“Un tempo qui i cristiani erano maggioranza”, avevano “legami profondi” col territorio, “hanno contribuito alla costruzione dello stato iracheno e anche allo sviluppo della cultura islamica”, ha osservato Sako secondo quanto riporta il portale Asianews, del Pontificio istituto missioni estere. Il patriarca ha parlato di brutalità usata nei confronti dei cristiani e delle altre minoranze, ripetendo ancora una volta che oggi, nella piana di Ninive, “non vi è nemmeno un cristiano”. Forse qualcuno s’è salvato, arrampicandosi sulle montagne un tempo regno incontrastato dei monaci caldei che da duemila anni pregavano in aramaico, la lingua di Gesù, prima di essere sfrattati dai miliziani jihadisti. La soluzione, ha detto mar Sako, può venire solo dall’islam. Sono i musulmani “che devono assumere, per primi, l’iniziativa e promuovere una campagna che respinga ogni forma di discriminazione di natura confessionale”. Si tratta, nella pratica, di fare il possibile per “smantellare l’ideologia fondamentalista”. E’ necessario, ha sottolineato, costruire “un’opinione pubblica islamica aperta e illuminata”, operazione che deve partire necessariamente da una “revisione dei testi religiosi e storici”, che poi dovranno essere interpretati “in modo appropriato”, cioè al passo con i tempi. Un po’ come accaduto ai cristiani con l’Antico Testamento, come faceva notare al Foglio l’islamologo gesuita d’origine araba Samir Khalil Samir. Solo in questo modo, ha detto il patriarca di Baghdad, si potrà porre fine alla violenza e instaurare un dialogo il più possibile sincero e fattivo.
Dialogo che, stando a quanto accade in Austria, mostra tutte le sue crepe. Ieri il cancelliere Werner Faymann ha annunciato che è sua intenzione privare del sostegno governativo il Centro di dialogo interreligioso sponsorizzato dalle autorità dell’Arabia Saudita e intitolato al re Abdullah, aperto a Vienna nel 2012. Alla cerimonia d’inaugurazione presero parte il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il cardinale francese Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. A scatenare la reazione di Faymann è stato il rifiuto dell’organismo di condannare le mille frustrate comminate dal tribunale di Gedda al blogger Raif Badawi, reo di aver messo online un blog finalizzato a “offendere l’islam” attraverso le numerose critiche alla polizia religiosa e a varie sentenze fondate sulla legge coranica. A giudizio del cancelliere, “non è possibile avere in Austria un centro che si ripromette di favorire il dialogo interreligioso quando, nello stesso tempo, chi è impegnato in quello stesso dialogo è in prigione e teme per la sua vita. Un centro che rimane in silenzio quando si deve gridare in favore dei diritti umani non è degno di essere definito centro di dialogo. E’ un centro del silenzio”.