Sfogli la lista nera antisemita e scopri tanti progressisti
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Mandatela qualche ora a Gaza, vedrete che poi non sentirà più alcun dolore”, ha risposto il medico umanitarista alla richiesta di assistenza di una novantenne ebrea, la signora Bertha Klein
di Giulio Meotti | 21 Gennaio 2015 ore 18:40
Ogni anno il Centro Wiesenthal, che porta il nome del cacciatore di nazisti, pubblica la top ten dell’antisemitismo nel mondo. La sfogli e ti aspetti di trovarci imam, ayatollah, satrapi islamici, tiranni arabi. E ci sono. Il loro odio per Israele e gli ebrei è ossessivo, ipnotico.
Ma poi, leggendo la lista, scopri che c’è qualcosa che non va. Scopri che quest’anno, un anno in cui gli ebrei europei sono ripiombati nella paura, il primo posto non è andato a un pasdaran, ma a un medico belga: “Mandatela qualche ora a Gaza, vedrete che poi non sentirà più alcun dolore”, ha risposto il medico umanitarista alla richiesta di assistenza di una novantenne ebrea, la signora Bertha Klein. Il giuramento di Ippocrate evidentemente non si applica agli ebrei. Scorrendo la lista ci trovi il leader della Linke tedesca, Gregor Gysi (un’esponente politica tedesca non l’ha presa bene e ha fatto causa al Centro Wiesenthal) e Björn Söder, leader socialdemocratico di Stoccolma, che ha chiesto agli ebrei di abbandonare la loro identità per diventare appieno dei bravi cittadini svedesi.
I peggiori antisemiti risiedono in Europa e non sono tutti come Amedy Coulibaly. E’ la brava gente dello spettacolo e della cultura. Come il musicista greco ed eroe antifascista Mikis Theodorakis. “Tutto quello che accade oggi ha a che fare con i sionisti”. Come il regista danese Lars von Trier, che oltre alla ninfomania ha una particolare predilezione per Hitler: “Non è quello che si dice un bravo ragazzo ma simpatizzo con lui un po’. Israele è un dito nel culo”. Come il regista americano Oliver Stone, che ha biasimato “il dominio degli ebrei nei media”. Come il commissario europeo al Commercio, il belga Karel De Gucht, che dice di “non sottostimare il potere della lobby ebraica”. Come il vignettista brasiliano Carlos Latuff, il quotidiano norvegese Dagbladet e il medico Trond Linstad, premiato dalla Casa regnante norvegese con la medaglia reale. E ancora il giornalista tedesco Jakob Augstein, figlio del fondatore dello Spiegel, il commissario Onu Richard Falk, che ha giustificato il terrorismo contro lo stato ebraico come “diritto alla resistenza”. O come l’American Studies Association, l’organizzazione accademica americana che ha bandito i docenti israeliani dai suoi convegni, e Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, che ha disegnato una stella di Davide su un maiale in una mongolfiera promozionale durante i suoi concerti. E ancora la United Church of Canada e Alice Walker, Premio Pulitzer autrice del “Colore Viola”, che ha definito Israele “peggio dell’apartheid sudafricana”.
Tra pochi giorni, sui nostri giornali e televisioni, si riattiverà lo stanco rito della memoria. Sarebbe bene riflettere, piuttosto, su un paradosso osceno. Sempre vinto dagli israeliani sui campi di battaglia, il mondo arabo islamico ha cercato di distruggere quella piccola oasi ebraica con la guerra aperta, fallendo. Hanno allora tentato con il terrorismo a bassa intensità, i mass media, la cultura e gli intellettuali. E qui sembra aver avuto