Tremonti cancella la banca universale
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L’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha presentato un disegno
di legge al Senato (stampato numero 717 pubblicato questa mattina) per la riforme del sistema bancario mediante la separazione tra credito produttivo e attività finanziaria speculativa. In sostanza l’abbandono della banca universale. Una delega al governo di natura tecnica attraverso il quale l’ex superministro del governo di Silvio Berlusconi rompe un lungo silenzio sulla crisi e dintorni. “Due secoli fa è stato detto: «Sinceramente sono convinto che le potenze bancarie siano più pericolose che eserciti in campo» (Thomas Jefferson, 1816)”, esordisce in premessa l’ex ministro, “oggi è più o meno così ed è per questo che è arrivato il tempo di mettere lo Stato sopra la finanza e la finanza sotto lo Stato”.
Questo il testo della relazione generale dallo stile inconfondibile che caratterizza l'ex ministro, in capo ai quattro articoli della delega al governo.
“Il tempo per fissare un limite allo strapotere del capitalismo finanziario. Farlo, finalmente, vuole dire porre fine a un ciclo ventennale di prevalenza contro natura dell’interesse particolare sull’interesse generale, vuol dire «cacciare i mercanti dal tempio», vincere la malia di potere ancora esercitata dai santoni del denaro. Farlo vuol dire che è solo lo Stato che emette la moneta nel nome del popolo. Vuole dire che il credito serve per lo sviluppo e non per la speculazione. Vuole dire separare «il grano dal loglio e dalla ziz-zania», separare il produttivo dallo speculativo, come è stato per secoli. Vuole dire, tra l’altro, cominciare a difendere e stabilizzare i bilanci pubblici. Nell’insieme dare av-vio a un sistema economico e sociale di-verso, non solo più etico, ma anche più efficace di quel sistema monetarista che sta ora crollando e che purtroppo ci sta trasci-nando, se non facciamo resistenza, se non reagiamo, se non cambiamo. Quando la crisi del 1929 esce dal recinto di Wall Street ed entra nella vita delle famiglie, causando disoccupazione e disperazione (si leggano «Uomini e topi» e «Furore» di Steinbeck), allora il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America F.D. Roosevelt, nella prima delle «conversazioni al caminetto», parla di attività bancarie condotte da banchieri «incompetenti e disonesti» che utilizzavano «fondi della gente» per «la spe-culazione e per prestiti non saggi» e conclude che è venuto il momento «per sistemare questa situazione e farlo il prima pos-sibile». È così che nasce il Glass-Steagall Act, basato sul principio di separazione della banca produttiva o essenziale, la banca che usa i risparmi raccolti solo per finanziare l’attività produttiva, vietando a questo tipo di banca l’attività speculativa. Principio che è poi stato disastrosamente abrogato prima, nel 1999, negli USA, poi, negli anni successivi, in Europa e nel resto del mondo. Di recente il Governatore della Banca d’Inghilterra, in una conferenza organizzata dalla British Broadcasting corporation (BBC), ha dichiarato: «non costruiamo cen-trali nucleari vicino ad aree densamente po-polate e quindi non dobbiamo consentire che l’attività essenziale di una banca e gli investimenti a rischio vengano condotti nella stessa banca “troppo grande per fallire”. La separazione è essenziale per rendere più sicura la nostra economia». E oggi, si aggiunge, per evitare che i rischi di esplosione che si verificano in una banca che è troppo grande per fallire siano pagati per salvarla dai risparmiatori o dai contribuenti, in un sistema che privatizza i profitti e che socializza le perdite speculative. È dunque arrivato il tempo per riequilibrare il potere tra la finanza e gli Stati, tra la finanza, costituita nei suoi interessi, e la politica, deputata a rappresentare l’interesse generale della collettività. Anche nella peg-giore delle ipotesi che si possono fare sulla politica è infatti sempre vero che, per quanto sia o possa sembrare discutibile, una politica discutibile è comunque meglio di una finanza invincibile. È stato del resto detto che la democrazia può essere il peggiore dei sistemi, ma non se ne conoscono di migliori (Winston Churchill). Ebbene, neppure l’au-tocrazia finanziaria è migliore della demo-crazia. La casistica che oggi ci si presenta sullo scenario finanziario e bancario è davvero molto differenziata, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo. E non solo. Non c’è dunque un intervento unico da progettare, uno strumento unico da applicare, ma c’è comunque una logica politica comune da mettere alla base di ogni necessario inter-vento. In alcuni casi si tratta di rendere meno sistemiche, o non sistemiche, le banche che ancora sono o si dicono sistemiche: ridurle di dimensione, scinderle, depotenziarle perché è arrivato il tempo della sepa-razione tra attività produttiva ed attività speculativa. Il tempo della separazione tra le banche che raccolgono risparmi e capitali e li investono a proprio rischio nelle grandi industrie, nelle piccole imprese, per le famiglie, per le comunità, per i giovani e le banche che giocano d’azzardo, privatizzano le vincite, socializzano le perdite così, tra l’altro, producendo un risultato opposto a quello di ogni pur discutibile forma di efficienza capitalistica. Le banche devono dunque tor-nare a essere, e a essere considerate e trat-tate, come infrastrutture al servizio dell’eco-nomia e della società e non viceversa. In altri casi, infine, le banche devono essere nazionalizzate, prima che il loro dissesto lo renda poi necessario, magari ancora a spese della collettività. Prima, si ripete, si deve separare «il grano dal loglio e dalla zizzania», il bene dal male, aprire o fare aprire i libri contabili, imporre l’accertamento volontario o coattivo di quanto dell’uno e di quanto dell’altro c’è in ogni banca e più in generale, in ogni grande operatore finanziario. In specie, gli attivi e i passivi sani devono essere separati da quelli tossici, che vanno segregati. Le tecniche applicabili per operare la segrega-zione sono diverse, insieme antichissime e modernissime: dal sabbatico alla moratoria, alla bad bank. Ma è chiaro in ogni caso che l’enorme massa finanziaria tossica, che è ancora in essere nel cosiddetto «sistema», deve essere scadenzata su periodi i più lunghi possibile e accollata agli speculatori o cancellata. Chi ha giocato d’azzardo non può impunemente alzarsi dal tavolo da gioco per farvi sedere qualcun altro a pagare per la sua perdita: è a chi ha perso la sua scom-messa che si deve imporre di pagare. Si deve interrompere l’infezione che ha origine nella finanza e che, senza controllo, si sta propagando fuori da questa. Molti soggetti, molti segmenti, molti blocchi bancari e finanziari devono essere avviati verso ordinate procedure fallimentari. Ad esempio, verso procedure regolate sul modello del Chapter 11 degli USA. Non si può infatti pretendere di salvare tutto, so-prattutto quando l’esperienza insegna che, tentando di salvare tutto, alla fine si finisce per salvare il peggio. Al tempo del New Deal, a partire dal 1933, prima furono introdotte nuove regole e fu riorganizzato il sistema bancario e fi-nanziario, isolandolo dall’attività parassitaria, poi il denaro pubblico fu usato per inve-stimenti pubblici, per infrastrutture, per sal-vare le famiglie e le industrie. Per inciso, va comunque ricordato che solo il salvatag-gio dell’apparato industriale americano, così operato, consentì di battere il nazismo. A partire dal 2008, è stato invece fatto l’opposto: il denaro pubblico è stato preva-lentemente usato per salvare le banche e i banchieri; non sono state fatte nuove regole (anzi); non c’è stato alcun serio, vasto progetto di investimento pubblico per l’econo-mia industriale, fisica e manifatturiera, per le infrastrutture. Ciò che ora va prioritariamente e assolu-tamente fatto è invece primum vivere. Abbandonare il modello della cosiddetta «banca universale», che è poi il «DNA» della banca sistemica, base di partenza della megabanca globale fallimentare. Per farlo è necessario introdurre una versione aggiornata della legge Glass-steagall del 1933. In sintesi, ora come allora è necessario erigere una barriera antincendio, un firewall, distinguere tra banche ordinarie e banche d’azzardo, in modo che le banche ordinarie non possano più prestare i soldi dei corren-tisti alle banche d’azzardo o comprarne i prodotti strutturati. Una distinzione che deve e che può essere fatta istantaneamente, abrogando le leggi nuove, introdotte più o meno dappertutto negli anni novanta, e tor-nando alle vecchie leggi degli anni trenta. È proprio questo che va fatto. È vero che si possono fare enormi profitti usando per la speculazione i soldi depositati in banca dai correntisti ordinari, ma è proprio questo che va impedito. I soldi dei correntisti ordinari, prima, e dei contribuenti, dopo, non devono infatti più essere soggetti a questo tipo di rischio. Un rischio che ora si sta estendendo ai bilanci pubblici e che da qui, sa-lendo per la scala della crisi, si sta estendendo al benessere e alla vita dei popoli”. Di Franco Adriano, Italia Oggi, 23/7