Il rinvio del congresso del Pd come arma anti Renzi

Il sindaco deve scegliere. A Roma si discute il caso Crocetta

Ormai la vicenda del congresso del Partito democratico sta assumendo i toni di una farsa. Prima erano le regole. Inventate apposta per stoppare Matteo Renzi, sono state agitate a lungo. Ma quando si è capito che non servivano alla bisogna, che se i sostenitori del sindaco davano battaglia diventava complicato portare avanti la storia delle norme capestro, allora si è prontamente cambiato registro. Adesso per fermare Renzi ci si affida al rinvio sine die del congresso. L’ultima novità è che la data non dovrebbe essere ufficializzata prima di settembre. Un modo per prendere molto molto tempo. E, di fatto, per mandare le assise nazionali alle calende greche.

Ma perché tutto questo accanimento proprio adesso, quando sembrava che la questione del rinvio del congresso fosse stata finalmente accantonata, dal momento che l’ultrà bersaniano Davide Zoggia aveva annunciato che le assise si sarebbero tenute entro l’anno? Perché solo ora Enrico Letta, Guglielmo Epifani, Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini e Massimo D’Alema hanno capito che la decisione di Renzi di non parlare per almeno due mesi del governo per non disturbare i manovratori, non equivale alla rinuncia del sindaco di Firenze alla battaglia congressuale.

Renzi infatti, che, come è noto, non era affatto convinto a scendere in campo per la segreteria nazionale, tant’è vero che la scorsa settimana aveva pensato di rinunciare alla candidatura, ha deciso che per lui le strade da intraprendere, se non vuole farsi emarginare dalla politica nazionale, sono soltanto due. La prima è quella che passa appunto per la segreteria del partito, perché “è chiaro – ha spiegato Matteo Renzi ai suoi – che sennò il rischio è che il Pd tra un anno e mezzo arrivi al 15 per cento e che prevalga il piano di chi pensa di trasformare il governo d’emergenza in un progetto politico”.

Renzi non ha fatto nomi esplicitamente quando ha affidato le sue riflessioni ai fedelissimi, ma tutti hanno capito a chi si riferisse: al tandem Letta-Franceschini. La seconda strada è quella che caldeggiano alcuni suoi amici: sbattere la porta del Partito democratico e lanciarsi in una nuova avventura politica, visto che i sondaggi continuano a essere confortanti per lui e sconfortanti per il governo. Ma questa seconda strada Renzi non vuole imboccarla in nessun modo. Almeno così la pensa adesso. Gli è stata prospettata già altre volte, e lui ha sempre detto di voler rimanere nel Partito democratico e di ritenere inconcepibile la cessione di un movimento. Ma tra i suoi sostenitori c’è chi si chiede fino a quando il sindaco di Firenze potrà restare su questa posizione. Potrà farlo anche se il congresso verrà rinviato sine die o se, con qualche altolà dell’ultimo minuto, gli renderanno impossibile candidarsi alla segreteria?

Intanto il caso Crocetta sbarca a Roma, dove oggi la commissione di garanzia del Pd deve decidere sulla sua espulsione (accusa: la “doppia militanza” tra Pd e “Megafono”, il suo movimento). Lui dice: “Metteranno al rogo un pupo con le mie sembianze”.

FQ, 23/7

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