Né di destra né di sinistra
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l’Italia verso la post-politica
La ricerca “LaST” ha raccolto i giudizi sulla classe dirigente: la maglia nera va a banchieri e sindacalisti
DANIELE MARINI, La Stampa, 8/4
Gli italiani valutano positivamente soprattutto le leadership orizzontali: i responsabili delle associazioni con finalità sociali e del volontariato, al più gli esponenti del mondo della cultura e università.
Già sugli imprenditori si dividono, ma quando si passa a considerare le classi dirigenti delle rappresentanze organizzate e delle istituzioni, la valutazione scende sensibilmente. E, fra i bocciati, incontriamo accomunati i politici, i sindacalisti e i banchieri. È una società che si riconosce nella prossimità al territorio, in chi opera fattivamente nelle molte reti di solidarietà. È più diffidente, invece, quando pensa alle classi dirigenti che appartengono alle forme istituzionalizzate della rappresentanza e della politica. Percepiti distanti e distaccate, troppo particolari e autoreferenziali. Forse è per questo che nel delineare le caratteristiche della leadership del futuro per il nostro Paese mette in risalto soprattutto due aspetti: la capacità di una visione strategica, in grado di anticipare e affrontare i problemi, da un lato. Dall’altro, l’essere dotata di senso morale, di legalità: in una parola, la dimensione etica. Meglio ancora, se assieme a questi aspetti vi è anche una competenza professionale specifica. Lo sfondo di tutto ciò è poi costituito dagli orientamenti culturali politici espressi dai cittadini. Al di là dell’esito elettorale, di cui sono ben noti i risultati, le culture politiche degli italiani evidenziano un sommovimento in cui, oltre agli schieramenti tradizionali, emergono in modo significativo inclinazioni che potremmo definire tranquillamente «post-politiche». Questo è il quadro generale che emerge dalla prima rilevazione sulla popolazione italiana della ricerca LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) promossa da Community Media Research per La Stampa, realizzata da Questlab, di cui anticipiamo i risultati. È un’Italia provata da una crisi lunga, da una classe dirigente (non solo politica) che spesso offre il suo volto peggiore fra scandali, ruberie e un senso civico derubricato dal proprio lessico. Soprattutto dotata di un senso dell’irrealtà profonda.
La classe dirigente
Gli italiani in un Paese così spaesato, senza una leadership riconosciuta come tale, sembrano trovare forza più che nelle istituzioni, in loro stessi: in particolare nelle forme associative e del volontariato presenti sul territorio, in chi opera nella costruzione del capitale sociale e delle reti di solidarietà delle comunità. Le abbiamo viste spesso all’opera nelle situazioni più complicate: la protezione civile e gli alpini durante i terremoti, i giovani all’opera dopo le alluvioni, le cooperative sociali nell’aiuto alle persone marginali, le Caritas con i poveri e gli immigrati, solo per citare pochi esempi. Esprimono una classe dirigente orizzontale, territoriale: a loro va il massimo del gradimento e dell’apprezzamento degli italiani (66,1%), soprattutto da parte delle persone più anziane, degli inattivi, degli uomini e di chi risiede nel Nord Est del Paese, dove le forme del volontariato sono particolarmente diffuse. Segue, nella classifica degli apprezzamenti positivi, la classe dirigente espressa da alcune élite provenienti dal mondo della cultura e dell’università (59,3%), valutazione sostenuta in particolare dalle classi più giovani. Più distaccati, incontriamo gli imprenditori e i manager delle imprese che dividono quasi omogeneamente il campione: il 50,4% assegna un voto positivo a questa parte di classe dirigente nazionale.