Grillo suona lo spartito di Robespierre e la sinistra
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lo segue ipnotizzata. Poiché – come dice Roger Scruton – l’Europa
è in mano di élite che hanno deciso di distruggere le identità nazionali e le loro culture, anche al prezzo di massacrare le economie dei singoli paesi sull’altare del modello tedesco, non è da stupirsi che sorgano ovunque reazioni estremiste (“populiste”) che non si dissolveranno con le deprecazioni. La teoria Gardels-Goulard-Monti (di recente in voga) della limitazione della democrazia da parte delle “élite selezionate in base al merito” evocava la scivolata in cui era incorso Condorcet, uno dei teorici del principio secondo cui la democrazia si fonda sulla “rappresentanza”, quando disse che “una società che non è governata dai filosofi cade in mano ai ciarlatani”. Sono estremizzazioni che suscitano il loro simmetrico e contrario: Robespierre travolse in un sol colpo l’idea platonica della dittatura dei sapienti e la teoria della rappresentanza, proclamando che l’unico sapiente è il popolo, l’unica democrazia è quella diretta, in cui il popolo governa senza mediazioni. In un memorabile discorso tenuto nel maggio 1794 proclamò che l’artigiano e il contadino erano conoscitori dei diritti dell’uomo e della luce della filosofia più dell’accademico Condorcet, di fama scienziato e letterato, in verità cospiratore che lavorava contro quei diritti e quella luce “con il perfido guazzabuglio delle sue rapsodie mercenarie”.
A ennesima conferma dell’aforisma di Marx secondo cui la storia si ripete come farsa, le flatulenze verbali hanno preso il posto del linguaggio letterario di Robespierre. Ma lo spartito è lo stesso, quel vetusto spartito che da Rousseau in poi in Europa è stato più volte eseguito per soffocare la democrazia rappresentativa tra il mito del governo delle élite e i totalitarismi. E’ una musica stravecchia: il governo non serve, la vera democrazia è esercitata direttamente dalle masse nelle assemblee popolari. Del resto, Grillo l’ha detto chiaramente: la sua è una rivoluzione francese senza ghigliottina (grazia sua). Al posto del culto della Dea ragione abbiamo le profezie millenaristiche di Casaleggio. La rivoluzione si avvale di nuovi mezzi: informatica e assemblee in streaming. La prima manifestazione di democrazia diretta sarà la nomina in rete del presidente della Repubblica. Quanto al popolo, occorre comunque che qualche tribuno lo porti per mano e gli insegni a dirsi “cittadino” e non “onorevole” e a non farsi abbacinare dai furbi tentativi di riproporre la mediazione della rappresentanza e dei partiti.
Il guaio è che quella musica ha anche incantato generazioni di militanti di sinistra il che rende l’odierna rilettura del vecchio spartito assai poco farsesca. Così va in scena il dramma dell’implosione di una sinistra che non è mai riuscita a liberare tanti dei suoi militanti e dirigenti dal mito della democrazia diretta, del potere alle masse. Ora si vede il tragico risultato di non aver saputo sviluppare già prima del 1989, ma almeno da quel momento, un’opera profonda di revisione culturale e politica volta a sradicare quelle antiche mitologie palingenetiche che rendono fondato parlare di un legame mai completamente reciso con l’utopia comunista. Se il gruppo dirigente del Pds-Ds-Pd non ha svolto quest’opera per un inesausto attaccamento al passato o per il timore di perdere per strada parte dei militanti è tema di storiografia, non di un articolo di giornale. Ma quel che è certo è che lo spettacolo di un partito che trova motivi di convergenza e anzi di parentela con i “citoyens” diretti dai Robespierre e Saint-Just de noantri, e si umilia nell’inseguirli, più che desolante è fonte di grandissimo allarme. Difatti, che la vicenda cui stiamo assistendo sia l’ultimo atto di una storia che non vuole finire, è cosa indubbia. Ma il rischio è che nei sussulti di questa dissoluzione finisca disintegrata la democrazia. A meno che da essi nasca una nuova forza definitivamente lontana dalle mitologie assembleari della democrazia diretta. Ma ogni giorno trascorso senza che questo accada è un passo verso il baratro.
di Giorgio Israel, 7/4